Luce recensione film di Silvia Luzi e Luca Bellino con Marianna Fontana e con la voce di Tommaso Ragno
Un telefono squilla, più e più volte, e risponde sempre un uomo dal respiro pesante che non parla.
Un incipit scontato e cinematografico ma che in Luce si riempie di realtà: la terza chiamata è infatti disturbata dai suoni della fabbrica, dove la nostra protagonista, Marianna Fontana, lavora. Allora diventa un’esigenza rompere quel silenzio carico di suspense, in un profluvio di “ti sento”, “aspetta”, “mi senti?”. In quel momento Marianna e chi sta dall’altro capo del telefono accorciano le distanze e si ritrovano a comunicare.
Luce è, infatti, un film paradossale, in cui la comunicazione che canonicamente include due persone che si relazionano, diventa un monologo singolo con un elemento astratto: la speranza. Da un lato il personaggio di Marianna Fontana, agli ultimi sgoccioli di una giovinezza “tirata per i capelli”, e dall’altro la voce di Tommaso Ragno, uno che potrebbe essere chiunque, un uomo dai mille accenti che vive in carcere da prigioniero .
Silvia Luzi, regista e sceneggiatrice, ci dice che se scorriamo la cronaca vedremo come l’utilizzo di cellulari in carcere è una possibilità tutta reale, ma in Luce l’immaginazione, il surreale, si intreccia nel dato reale del film.
Marianna, durante una pacchiana festa di comunione, vede un drone e le si accende una luce, una possibilità, una speranza: quella di parlare con il padre chiuso in carcere. Un bigliettino con il proprio numero attaccato al macchinario e le sue ali metalliche che sorpassano il muro recintato del penitenziario segnano l’inizio di quel viaggio di speranza.
Andandosene da lì, il viso della pordagonista, sempre vicino alla macchina da presa e a noi spettatori, ci restituisce l’attesa. Questa attesa potrebbe farla andare avanti in una vita fatta di riempimento.
Tutto è fuori fuoco, tutto è fuori inquadratura, perché non importa: la cosa che interessa è quella luce che si vede dentro gli occhi di Marianna. Una ragazza che lavora in fabbrica, a cui bruciano le mani, senza un padre che è più una guida che una presenza, una figura che si illude potrebbe dare un senso a tutta la sua vita. Per questo cerca di non arrendersi, andare alle feste, cantare con il gatto a casa e raccogliere la preziosa acqua di mare: nell’attesa che le cose migliorino.
Nonostante l’evidente impotenza esistenzialistica, ma estremamente pragmatica, che leggiamo nel volto della donna, noi spettatori ci sentiamo soffocare: manca una direzione, un respiro. Vorremmo vedere cosa c’è attorno a lei, qual è questa realtà che odia, ma è inaccessibile: questa è la storia di Marianna e ce la racconta con i suoi termini. La regia lungo il film sembra asfittica e auto dialogante, mancando quel climax interno che ci avrebbe fatto aprire gli occhi con stupore.
Quella chiamata interrotta dai suoni della fabbrica non la mette in contatto con il padre, ma con un carcerato che si è appropriato del suo bigliettino. Un’altra anima sola che deve “far passare il tempo”, come lei, per non pensare che dentro il carcere vivrà la fine dei suoi giorni. Nonostante l’iniziale resistenza, Marianna si abbandona a parlare con quest’uomo, inventandosi una vita che non ha, una speranza e una gioia che potrebbe aiutare entrambi, lei e quella sua guida fittizia, quel padre fittizio.
Così le chiamate si susseguono, in un film fatto di interruzioni, suoni che disturbano, « un film fatto di suono e di ferro», ci dice Luzi; un film i cui silenzi sono così importanti che Luca Bellino, regista e sceneggiatore con Luzi, racconta che la sceneggiatura è stata scritta con il sound designer. I lunghi piani sequenza, che mostrano la bravura di Fontana, non sono interrotti da scene di raccordo, ma da altri suoni che ci svegliano come da un torpore, ricordandoci la fallacia delle illusioni.
Così arriva un silenzio che sa di assenza. Assenza di speranza, di guida e di soluzione. Così come la micetta di Marianna non tornerà, lei non potrà essere salvata da nessuno: l’unica cosa che le può rimanere è la speranza promessa, quella che non si avvererà mai.