L’Erede (Le Successeur) recensione film di Xavier Legrand con Marc-André Grondin e Yves Jacques
![L’erede di Xavier Legrand (Credits: Teodora Film)](https://www.madmass.it/wp-content/uploads/2025/02/Lerede-di-Xavier-Legrand-Credits-Teodora-Film-2.jpg)
I genitori possono essere degli estranei da cui, senza volerlo, si ereditano i valori e le malattie. Nel momento di più grande successo nella carriera di Elias (Marc-André Grondin) il pensiero fisso è: ho ereditato quel male da mio padre? Elias adesso abita a Parigi, lontanissimo da Montreal di cui non conserva nemmeno l’accento, né il suo nome di battesimo: Sebastian.
Eppure, mentre calza il ruolo di successore come stilista della grande casa di moda Orsini, un attacco di panico, mascherato da possibile infarto, gli fa chiedere se dei suoi genitori gli sia rimasto quel cuore fragile o qual cos’altro.
Non era la prima volta che il regista Xavier Legrand affrontava il complicato e oscuro ruolo del genitore, vincendo al Premio César e alla Mostra del Cinema di Venezia come miglior regista, con L’affido – Una storia di violenza. In L’Erede, che uscirà nelle sale italiane grazie alla distribuzione di Teodora Film, il padre è un fantasma che Elias vuole che rimanga un estraneo.
La morte lo costringe a un’intimità che non voleva. Un approccio pragmatico e privo di dolore, ci permette di seguire Elias che da Parigi torna nel Québec; vorrebbe sbrigarsi, preparare il funerale e vendere la casa in fretta, perché non è lì per restare. I suoi pensieri sono alla compagna in Francia, all’imminente campagna pubblicitaria della casa di moda, ma sembra che ogni dettaglio lo spinga a provare un dolore per la morte del padre che lui non prova.
La casa in cui viveva il padre non la riconosce. Maldestramente apre la porta e non sa rispondere a nessuna delle domande che gli pongono i professionisti su suo padre: che tipo era? La casa è stata ristrutturata? Dove sono le chiavi di questa porta?
Elias non vuole conoscere le risposte a queste domande, ma un’eredità arriva senza volerlo. Fin dall’inizio del film , fin da quella canzone perturbante che accompagnava la sfilata delle sue modelle, lo spettatore si è chiesto dove sia il mistero, dove sia quell’angoscia che sembra pervadere tutto il film, ma di cui non si origina la fonte, che pesa come un dolore sul petto.
Nella lentezza quotidiana delle pratiche per seppellire il proprio genitore, questa angoscia sembra essere gestibile, coperta dalla praticità delle cose: vendere, onorare e fuggire.
Perfino l’estremo utilizzo delle luci diegetiche ci sembra una necessità, ma un urlo, una scoperta inaspettata dentro quella casa, tramutano la necessità in paura. L’assenza della musica diventa terreno per suoni sinistri, il buio casalingo, la paura dell’ignoto. Fino al quel momento, lo spettatore è portato a chiedersi quali fossero i motivi di tanto astio nei confronti del padre, all’improvviso questa domanda non ha più importanza: il segreto che il genitore nascondeva in quella casa, è ancora più indicibile.
Da quel momento in poi non c’è più scampo. Pur mantenendo uno stile registico pulito, con una macchina da presa che predilige i punti fissi lasciando i personaggi liberi di andare avanti per scoprire l’orrore, Xavier Legrand riesce a creare una tensione che non permette respiro.
Elias è prigioniero nella casa di una persona che non riconosce: suo padre. Ciò che succederà sarà frutto di scelte normali, di sbagli comprensibili dalle conseguenze disastrose, che portano Elias e lo spettatore a fare i conti con quel legame così viscerale e casuale che abbiamo instaurato con i nostri genitori.
Ormai non è più possibile scappare, tornare a Parigi e tornare ad essere Elias: a poco a poco Sebastian, il suo nome di nascita che aveva rinnegato, riemerge portandosi dietro il suo accento canadese e, forse, il male ereditario.
Un thriller che si fonda su un orrore da tragedia greca senza lo sfarzo e l’eccesso richiesti in questo caso, ma mostrando l’umiltà di una domanda tanto quotidiana, quanto spaventosa: il male è ereditabile?