Berlino, Estate ‘42 recensione film di Andreas Dresen con Liv Lisa Fries, Johannes Hegemann, Lisa Wagner e Alexander Scheer
di Luca Baeli
Un’estate, due innamorati, un gruppo di giovani ribelli. Sembra la storia di una periferia qualunque, una commedia romantica di formazione. Ma siamo nella Germania nazista.
1942: al fronte, lontano, le armate di Hitler iniziano a vacillare.
Berlino Estate ‘42, diretto da Andreas Dresen, racconta la storia vera di Hilde Rake (Liv Lisa Fries), che si innamora di Hans Coppi (Johannes Hegemann), membro dell’Orchestra rossa, un gruppo di resistenza al regime. I due si sposano e la donna resta incinta. Quando la Gestapo li cattura, Hilde dovrà lottare per far sopravvivere il suo bambino partorito in carcere.
In guerra per (o con?) amore
Attraverso un montaggio frammentato, lo spettatore vede senza soluzione di continuità i giorni di prigionia di Hilde, intervallati ai ricordi dell’estate trascorsa con Hans. Momenti scomposti che affiorano in modo non cronologico. Hilde è sospesa, e il tempo e lo spazio si adeguano quasi senza una logica, nel racconto parallelo di un amore, di una resistenza e di una prigionia.
Lo stile è asciutto, l’iconografia del nazismo ridotta all’osso. Il focus è concentrato su una resistenza spontanea, quasi infantile. Poco rappresentata sia al cinema che sui libri di storia, per altro, è qui mostrata senza cedere alla retorica. Volantinaggio sui mezzi, affissioni notturne di locandine: sembra non esserci una vera strategia, nessun eroe, nessuna mente geniale a guidare il movimento. Solo la routine di un gruppo di giovani che ha bisogno di opporsi a un regime.
Hilde, invece, ha una strategia precisa: “perché amavo mio marito” è la risposta semplice e spiazzante che dà ai magistrati al suo processo sulle motivazioni della sua resistenza.
Un moto in cui l’amore privato e la volontà pubblica di libertà sono contigui. La prigionia di Hilde (così come la sua resistenza) non ha grandi guizzi. Non c’è una particolare crudeltà nei suoi confronti.
La violenza presente avviene fuori scena. Sono i corpi che ne portano i segni.
Quando la protagonista incontra Hans brevemente nei corridoi del carcere gli mostra il loro figlio, che porta il suo stesso nome. Il bambino è ricurvo, tumefatto. Ma il vero protagonista della pellicola è il corpo di Hilde: un corpo di donna e di madre che resiste. Dopo un’iniziale incapacità di accogliere il neonato, il suo corpo si riattiva per far sopravvivere il bambino, producendo latte in gran quantità.
Il male burocratico e la resistenza amorevole
Berlino Estate ’42 sceglie di non raccontare una tragedia, ma di puntellare, attraverso parole e immagini gentili immerse in una freddezza generale, le emozioni dello spettatore.
“Sii felice ad ogni costo” dice Hilde al figlio. Nonostante tutto ciò che ha vissuto, la madre resta ancorata alla parte migliore: il calore, la felicità, l’amore. Intorno a sé, rapido e insensibile, vi è un male routinario e vuoto.
Insomma, chi vince tra amore e male?
Il film suggerisce che, forse, sono destinati a convivere per sempre.