Serenity – L’isola dell’inganno recensione del film di Steven Knight con Matthew McConaughey, Anne Hathaway, Diane Lane, Jason Clarke, Djimon Hounsou e Jeremy Strong
Steven Knight ci aveva abituato bene, nelle vesti di sceneggiatore (Piccoli affari sporchi, La promessa dell’assassino, la serie TV Taboo) ma anche di regista (Locke) ed il nuovo film che dirige, Serenity, è un film che potrebbe essere etichettato in diversi modi: come un thriller psicologico, come un melodramma che approfondisce le fitte relazioni tra i personaggi, come un omaggio al cinema hitchcockiano.
In tutte queste categorie, tuttavia, fallirebbe miseramente. Il problema del regista è che cerca di assemblare una panoplia di generi: thriller, dramma, giallo e mistery. E questo è un azzardo.
Plymouth Island. La serenità del misterioso e tormentato Baker Dill (Matthew McConaughey) ritiratosi a vivere su una piccola isola dei Caraibi, dove vive tranquillo facendo il capitano di una barca che porta i turisti a pesca, viene turbata dal ritorno improvviso ed inaspettato dell’ex moglie Karen (Anne Hathaway) che, maltrattata dall’attuale marito (Jason Clarke), chiede a Baker di salvarla aiutandola ad uccidere quest’uomo violento.
Come ambientazione e intrecci nulla di nuovo, verrebbe da dire. L’unico punto forte del film, bisogna evidenziarlo, è la qualità riconosciuta degli attori chiamati ad interpretare i protagonisti; se McConaughey riesce a dare una sua profondità al personaggio ed alla storia, al contrario la Hathaway sconta la piattezza del suo personaggio, che la riduce a quello della donna maltrattata e disperata, non riuscendo ad aggiungere “pepe” alla trama.
La sceneggiatura delinea alla fine due protagonisti abbastanza stereotipati, riservando prevedibili colpi di scena e riducendosi a una scontata lotta tra il bene e il male, ove si palesa l’idea che tutto quello che sembra reale per lo spettatore forse non lo è.
L’ultima mezz’ora del film, ideata come un climax crescente di suspense, diventa all’atto pratico un mero accumulo di improbabilità, affatto giustificabili, il tutto accompagnato dall’estrema banalità dei dialoghi. I personaggi risultano così poco credibili e vengono percepiti dallo spettatore come ‘senza anima’.
Serenity – L’isola dell’inganno funziona più come idea sulla carta che come pellicola poiché una buona idea centrale c’è, avendo a che fare con la relazione tra i desideri e le esigenze della vita reale e l’impossibilità di soddisfare questi desideri senza altro modo che ricorrere alla fantasia.
L’unico mistero, vero, che rimane da risolvere è: cosa pensavano McConaughey e Hathaway quando hanno accettato di girare questo film?
Gabriela