A Hero recensione film di Asghar Farhadi con Amir Jadidi, Mohsen Tanabandeh, Sahar Goldust, Fereshteh Sadre Orafaiy e Sarina Farhadi
Il ritorno – iraniano e solidissimo – di Asghar Farhadi
La parentesi internazionale non ha fatto bene al regista due volte premio Asghar Farhadi, il cui deludente Tutti lo sanno (2018) aveva segnato una decisa battuta d’arresto nella sua carriera. Tornato in Iran ha subito ritrovato l’ispirazione, arrivando a Cannes con un film solidissimo, senza difetti se non la mancanza di vere sorprese, che si candida a fare bene nel Palmares finale e forse fa anche un pensierino alla Palma d’Oro. D’altronde A Hero (Qahremān) replica la struttura e i temi del bellissimo Una separazione (2011), film che lo consacrò sul panorama internazionale.
Il cinema di Farhadi vive entro limiti tematici molto stretti e lavora su scala microscopica: tra un film e il successivo cambiano i personaggi e l’effetto scatenante, ma la struttura sottostante e le dinamiche sono ripetute e raffinate titolo dopo titolo. Al principio c’è sempre un evento scatenante, un particolare tipo di conflitto morale. In A Hero, un uomo finito in carcere per debiti trova una borsa abbandonata contenente molte monete d’oro mentre gode di un permesso premio. Il suo primo istinto è quello di vendere le monete e ripagare il suo debito evitando il ritorno in carcere, ma poi decide che la cosa giusta da fare è cercare di trovare la proprietaria della borsa. Seguono traversie che provano quanto possano essere imprevedibili le ricadute del più nobile dei gesti: aiutare un’altra persona.
L’impossibile verità del cinema di Farhadi
Nel cinema di Farhadi anche un’azione disinteressata e positiva finisce per innescare una catena di eventi che mette la moralità di tutti i personaggi sul filo. Nessuno mente, ma nessuno dice pienamente la verità. Come sempre lo sceneggiatore e cineasta iraniano si muove in quell’infinitesimale ma cruciale scarto tra ciò che si succede e come viene raccontato a parole, raccontando quanto sia difficile apparire (ed essere) eroi disinteressati e figure positive nell’era dei social media, unica sostanziale novità nel meccanismo a orologio con cui Farhadi scrive le sue storie.
Il contesto di A Hero è quello del suo cinema iraniano, con famiglie allargate la cui complessa rete di relazioni sociali e risentimenti interpersonali mai sopiti rendono in qualche mondo universale l’esperienza di visione per chiunque abbia mai affrontato un dissidio nel parentado, una ruggine per questioni economiche mai risolte. Il personaggio più sgradevole (ma anche più retto) del film, il suocero a cui il protagonista deve un’ingente quantità di denaro e che lo ha denunciato, rende esplicita la domanda nascosta nel titolo così indefinito: “chi è il vero eroe qui?” Chi fa una buona azione dopo aver messo in difficoltà gli altri o chi ha riparato agli errori passati dell’eroe in questione senza clamore, sacrificando il benessere della famiglia e la dote della figlia per onorare la parola spesa?
La nausea relativista dell’uomo buono
L’impossibilità di catturare un singolo fatto come vero investe tutta la pellicola, attraversata da tante zone d’ombra. Come i protagonisti, rimaniamo senza risposta anche di fronte alla donna che reclama la borsa, poco più di un’ombra che noi e il protagonista tentiamo vanamente di afferrare: era una persona spaventata di aver perso un tesoretto frutto di anni di lavoro o il suo modo di fare guardingo nasconde qualcosa di sospetto?
In un mondo in cui sia parlare sia stare in silenzio comportano uno scotto da pagare, c’è una sola certezza che sopravvive a qualsiasi umiliazione o destino avverso: i legami familiari e d’amore. Talvolta portano a gesti eroici, talvolta con le migliori intenzioni danno i peggiori risultati, ma sembrano l’unica certezza in un mondo tanto disorientante e senza centri di gravità morale permanenti. La stessa azione – restituire la borsa col denaro – viene valutata e rivalutata così tante volte e in così tante sfumature nel film da dare un vago senso di nausea relativista.
Asghar Farhadi è uno scrittore di cinema straordinario, capace di tirar fuori storie sempre diverse e rilevanti a partire da un canovaccio sempre uguale a se stesso. Questa sua qualità straordinaria si affianca alla capacità apprezzabile di saper mettere insieme cast dalla recitazione più che convincente (giovanissimi interpreti inclusi) e all’inventiva con cui, con la singola scena finale e la sua costruzione emotivamente potentissima, si dimostra un regista essenziale capace di grandi guizzi. Improbabile non rivederlo nel Palmares del 74esimo Festival di Cannes.