Il ritorno dietro la macchina da presa di un cineasta desta sempre curiosità e interesse, soprattutto quando si tratta di un regista così misterioso e sfuggente come Terrence Malick: il director texano sta infatti per ritornare sugli schermi con il suo nono lungometraggio dal titolo A Hidden Life, in quello che dovrebbe essere un lavoro incentrato sulla figura di un obiettore di coscienza nell’Austria della seconda guerra mondiale.
Prima di snocciolare tutto quello che è al momento conosciuto su questa nuova opera, ripercorriamo insieme una carriera che, qui come non mai, rappresenta un vero e proprio percorso di crescita personale e stilistico, dove tutti i film sono collegati da un fil rouge che li attraversa ma che viene declinato ogni volta in modo diverso. Ogni capitolo rappresenta una vera e propria tappa, complice anche una prolificità per nulla accentuata: dopo aver realizzato solamente tre lungometraggi nei suoi primi trent’anni di carriera, è solo a partire dal nuovo millennio che il regista è diventato più produttivo realizzando due film a distanza di sei anni e poi, a partire dagli anni duemiladieci, cominciando a produrre un’opera dietro l’altra.
Nell’attesa della presentazione del suo nuovo film al prossimo Festival di Cannes 2019, cominciamo questo viaggio come è più consono a Malick, come un tracking shot attraverso la sua carriera.
La rabbia giovane (Badlands, 1973)
L’esordio cinematografico di Malick avviene nel 1973 con La rabbia giovane, un film indipendente con protagonisti Martin Sheen e Sissy Spacek nei panni di una giovane coppia, in fuga dalle forze dell’ordine negli Stati Uniti degli anni ’50 mentre alle loro spalle lasciano una lunga scia di cadaveri. Vagamente ispirato ad un fatto di cronaca nera accaduto realmente, il film di Malick è solido e già straordinariamente maturo per essere un esordio, complice anche la precedente esperienza del cineasta come sceneggiatore e script doctor. Si nota fin da subito come le idee del regista texano siano ben chiare fin da subito grazie anche agli studi e alla cattedra in filosofia: Malick mette già in primo piano le peculiarità del suo cinema a venire, come l’onnipresente voce narrante fuori campo, di stampo introspettivo, l’importanza data al suggestivo accompagnamento musicale e la continua ricerca di immagini altamente suggestive.
I giorni del cielo (Days of Heaven, 1978)
L’opera seconda, datata 1978, è quella della conferma, più dello stile e della grammatica “malickiana” che del successo commerciale: gli incassi sono deludenti ma il film, prima non compreso appieno dalla critica e poi fortemente rivalutato, conquista il premio per la miglior regia al Festival di Cannes 1979.
Richard Gere, Brooke Adams e Sam Shepard sono qui i protagonisti di un triangolo amoroso che si sviluppa nella campagna rurale texana degli inizi del XX secolo: la lavorazione ha inizio nel 1976 in Alberta, Canada, e torna ad essere travagliata soprattutto per colpa del perfezionismo maniacale di Malick che porterà nuovi malumori e abbandoni tra i membri della troupe e prolungherà la durata di postproduzione a due anni: assistiamo alle prime concretizzazioni del perfezionismo tipico del cineasta texano.
La sottile linea rossa (The Thin Red Line, 1998)
Dopo un ritiro autoimposto dalle scene mondiali durato vent’anni, il cineasta ritorna in grande stile nel 1998 con La sottile linea rossa, un war movie tratto dall’omonimo romanzo del vero reduce di guerra James Jones. Nonostante l’assenza, l’importanza di Malick come regista era salita a livelli esponenziali, sia in patria che a livello internazionale, e molte delle più importanti star di Hollywood si offrirono di recitare gratuitamente nella nuova pellicola, anche se molte vennero scartate: il cast è comunque stellare e vede sullo stesso schermo Jim Caviezel, nei panni del soldato protagonista Witt, Sean Penn, Nick Nolte, Adrien Brody, John Cusack, George Clooney e John Travolta.
Ci troviamo nel 1942, in piena Seconda Guerra Mondiale, e il film sceglie di seguire le vicissitudini della compagnia di fucilieri Charlie durante la battaglia di Guadalcanal, un’isola nel sud dell’Oceano Pacifico: ma La sottile linea rossa non è un film di guerra, ma bensì un film sulla guerra, dove Malick sceglie di catturare immagini potenti e suggestive (grazie anche alla fotografia di John Toll) per poter affrontare i temi più profondi e in un certo senso esistenziali che solo sul campo di battaglia irrompono nella vita degli esseri umani.
Grazie anche al voice-over, sentiamo e vediamo i tormenti interiori di un gruppo di soldati costretti a confrontarsi con i propri doveri ma soprattutto con la follia e le atrocità della guerra, in una continua contrapposizione la natura tutt’intorno, che, lussureggiante e indifferente, sembra cullarli e contrapporsi alla loro logica, divenendo di fatto l’altra grande protagonista del film.
L’opera è anche vincitrice dell’Orso d’Oro al Festival internazionale del cinema di Berlino del 1999.
The New World – Il nuovo mondo (2005)
Il successivo film di Malick fa un passo indietro ancora più lungo e viene ambientato nell’America del 1607: The New World narra il leggendario amore tra la principessa nativa Pocahontas (qui interpretata da Q’orianka Kilcher) e il soldato inglese John Smith (interpretato invece da Colin Farrell) sullo sfondo del conflitto tra i pellerossa nativi americani e i nuovi coloni britannici.
Segnando un cambio di passo notevole nella filmografia del regista texano, dopo lo iato produttivo di vent’anni, il film viene inizialmente accolto in maniera tiepida dalla critica e anche dal pubblico risultando perciò uno dei suoi film di minor successo: ma sarà il tempo a rendere giustizia a questa sua quarta opera, della quale vengono apprezzati soprattutto la fotografia di Emmanuel Lubezki (che da qui in poi diventerà collaboratore fisso di Malick), la recitazione di Q’orianka Kilcher e la colonna sonora di James Horner, e che solo successivamente verrà classificata come uno dei migliori film del decennio.
The Tree of Life (2011)
Il quinto film, The Tree of Life, oltre ad essere uno dei più famosi ed apprezzati tanto dal pubblico quanto dalla critica, segna una svolta di stilistica e produttiva molto marcata nel cinema di Malick: oltre a poggiare sempre meno sulla sceneggiatura, l’opera vede lo sviluppo sempre più marcato delle scelte stilistiche che avevano fatto capolino nei precedenti film, come la fotografia suggestiva e ricercata, l’utilizzo del voice-over e l’inquadratura fluida e in movimento dell’ormai onnipresente steadycam.
La trama del film, chiaramente autobiografica, ruota intorno a una famiglia texana degli anni cinquanta e alla progressiva crescita del primogenito Jack dall’innocenza e dalla bellezza della vita sperimentata nell’infanzia, alla disillusione dell’età adulta. Jack si sente un’anima persa nel mondo moderno; attraverso un percorso interiore cercherà il significato della vita e tenterà anche la riconciliazione con il padre, con il quale ha avuto un rapporto difficile.
Giustapponendo immagini e riprese di accadimenti dello spazio (pianeti, stelle e galassie), scenari naturali incontaminati dall’uomo (deserti, oceani, vulcani, persino l’evoluzione della terra primigenia e i dinosauri, che Dio avrebbe fatto estinguere per fare posto all’amato Uomo) e ricostruzioni del’”infinitamente piccolo” (immagini al microscopio elettronico di movimenti cellulari) con le vicende della famiglia protagonista, il film fa perno su dubbi e questioni filosofiche e metafisiche per mostrare, appunto come dice il titolo, «l’albero della vita», le sue radici (l’origine della vita) e i suoi fini, quel senso a cui l’uomo anela.
Oltre alle candidature ai Premi Oscar 2011 nelle categorie di miglior film, miglior regia, e miglior fotografia per Lubezki, l’opera vince la Palma d’Oro al 64º Festival di Cannes, il maggior riconoscimento mai ottenuto per Malick.
To the Wonder (2012)
A solo un anno da The Tree of Life, alla 69ª edizione del Festival del Cinema di Venezia del 2012, Malick presenta il suo sesto film, To the Wonder, opera che tratta di un potente dramma sentimentale e nel cui cast figurano Ben Affleck, Rachel McAdams, Javier Bardem, Olga Kurylenko e l’italiana Romina Mondello: sono state tagliate durante il montaggio invece, come spesso accade nei film di Malick, le parti di alcuni attori come Jessica Chastain, Michael Sheen, Rachel Weisz e Barry Pepper.
Il film, le cui riprese si sono svolte principalmente in Oklahoma e in Francia (Parigi e Mont Saint-Michel), divide la critica come tipico per il regista texano, ancora di più rispetto a The New World: alla prima proiezione per i giornalisti viene accolto, da un lato, con sonori fischi e, dall’altro, con non pochi applausi, mentre si accusa l’opera di un’eccessiva cripticità della narrazione e di alcune scelte stilistiche di difficile impatto, incluso un cospicuo numero di lingue (quattro per la precisione) che vengono parlate nel film (inglese, francese, spagnolo e italiano).
Knight of Cups (2015) e Song to Song (2017)
Ormai preso da una prolificità insolita per la sua figura, nel 2012 Malick gira parallelamente il suo settimo e ottavo lavoro, ovvero Knight of Cups e Song to Song, dopo averli annunciati l’anno prima.
Il primo parla di uno sceneggiatore alla ricerca del proprio io, e vede nel cast Christian Bale, Cate Blanchett e Isabel Lucas. Distribuito nel 2015, il film ha diviso la critica più di The Tree of Life e To the Wonder, ed è considerato il progetto più sperimentale del regista, che qui porta agli estremi l’utilizzo della steadycam, un montaggio spezzato e gira senza una reale sceneggiatura ma solo creando le figure dei personaggi principali in modo che gli attori possano “reagire” tra di loro improvvisando sul momento.
Il secondo film, Song to Song, distribuito negli Stati Uniti nel 2017, racconta invece di due triangoli amorosi che si intersecano sullo sfondo della scena musicale di Austin, in Texas, e vede nel cast Ryan Gosling, Christian Bale, Cate Blanchett, Rooney Mara, Haley Bennett, Natalie Portman e Michael Fassbender.
A Hidden Life, quello che sappiamo…
Inizialmente intitolato Radegund, l’ultimo film di Terrence Malick ha cambiato nome in A Hidden Life in vista della partecipazione in concorso al 72° Festival di Cannes di quest’anno; la sua durata dovrebbe attestarsi intorno alle tre ore, diventando così l’opera più lunga nella carriera del regista.
Con una struttura marcatamente più narrativa rispetto ai film precedenti, il film tratterà la vera storia di Franz Jägerstätter, un contadino austriaco che durante il secondo conflitto mondiale si rifiutò di combattere per i nazisti e, giudicato colpevole di tradimento dal regime hitleriano come obiettore di coscienza, venne giustiziato nel 1943. Il cast vede, nel ruolo del protagonista, Valerie Pachner e Matthias Schoenaerts, oltre a Michael Nyqvist e Bruno Ganz, entrambi nei loro ruoli finali.
Girato nel 2016 negli studi cinematografici di Potsdam, nei pressi di Berlino, e in Alto Adige, intorno a Bressanone, è rimasto nella fase post-produttiva per più di due anni: critica e pubblico non vedono l’ora di poter gustare la nona fatica di Terrence Malick.
Vittorio