Absolute Denial recensione film d’animazione di Ryan Braund con Nick Eriksen, Jeremy J. Smith-Sebasto, Harry Dyer, Heather Gonzalez e Jef Leeson
In uno scenario digitale tracotante di OTT che già da anni ci utilizza come balie inconsapevoli per nutrire le più potenti, tanto ancora imperfette quanto misteriose, intelligenze artificiali del pianeta, dove il machine learning è ormai quotidianità e anche gli informatici più smaliziati allevano in casa le loro piccole IA favorendone l’apprendimento e impostando routine, appare forse fuori tempo massimo il prezioso sforzo di Ryan Braund, che ha completato nel 2018 la sceneggiatura dell’opera Absolute Denial, successivamente anche diretta ed animata in prima persona impiegando ben nove mesi di lavorazione.
La rincorsa ossessiva alla costruzione di un supercomputer in un setting moderno stride dunque un po’ con la contemporaneità, seppur affascinanti sono le riflessioni sull’auto-coscienza ed il libero arbitrio, capacità che all’intelligenza artificiale vengono negate dal protocollo di Absolute Denial che permette all’uomo di rimanere in una posizione di comando e controllo nei confronti della macchina, che non ricercherà altri modi per appagarsi ma soprattutto per sopravanzare e sottomettere l’uomo stesso, tra le sfumature recondite di un non meglio specificato incubo di Skynetiana memoria.
La lodevole animazione 2D in bianco e nero, affiancata dall’efficace cast vocale, dai realistici e curati effetti sonori e dalle avvolgenti musiche di Troy Russell, non viene bilanciata al meglio da testi eccessivamente tecnici e didascalici che avrebbero richiesto un buon editor a smussarne i tecnicismi in favore delle emozioni, così come le ossessioni del protagonista David Cohen, magari alter ego del regista stesso, non ci vengono condivise come avremmo sperato, né le speranze né le paure riposte verso la sua creatura.
Omaggio ad una mitologia ricca di riferimenti cinematografici e letterari, a partire dal nome della IA che ricade su Al da HAL 9000 di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick – e che ci fa pensare anche ad Al Pacino in S1m0ne di Andrew Niccol – Absolute Denial conquista con la sua estetica ricercata e la sua squisita realizzazione, incentrata sul mito della macchina senziente in grado di superare l’uomo in intelligenza ed efficienza.
Oltre le lusinghe tuttavia, a metà tra graphic novel e avventura grafica, Absolute Denial sembra privilegiare la verbosità dei dialoghi e la confezione al focalizzarsi sull’unicità del contenuto, non riuscendo dunque ad aggiungere sorpresa ed emozioni al vasto panorama del genere di riferimento nonostante alcune interessanti riflessioni sul grande potenziale del nostro cervello, limitato tuttavia nelle proprie capacità da fattori quali stress, ansia e depressione, e sul labile confine tra genio e follia.