Adolescence recensione miniserie tv con Owen Cooper, Stephen Graham, Ashley Walters ed Erin Doherty [Netflix]
L’elemento cardine di questa ipnotica quanto dura miniserie Netflix non è tanto il fatto di cronaca in sé, quanto il modo in cui l’evento drammatico diviene il punto di partenza per un breve, ma incisivo, studio su ciò che le dà il titolo: l’adolescenza.
Ideata da Jack Thorne e Stephen Graham, che ne è anche protagonista, Adolescence inizia con un caso di polizia apparentemente ordinario, ma di grande impatto.
Ogni episodio è girato in un unico piano sequenza e in tempo reale, con le telecamere che seguono abilmente ciascun personaggio, muovendosi in modo virtuoso in uno spazio claustrofobico, senza mai offrire un quadro completo. Grazie a questo schema narrativo la serie funziona come una panoramica dei diversi protagonisti e situazioni, in cui predomina la crudeltà nascosta nel mondo adolescenziale.
Non si tratta di individuare traumi o colpevoli per spiegare ciò che accade perché coinvolgono tutti, dal ragazzo problematico allo studioso. Un’emoji su Instagram può scatenare una tragedia. Un commento aggressivo, un’altra.
La miniserie inizia con la polizia che irrompe in una casa con violenza per arrestare qualcuno. La sorpresa è che l’obiettivo è un ragazzo di 13 anni che sta ancora dormendo.
L’arresto di Jamie (Owen Cooper) è brutale, e i suoi genitori, Eddie (Stephen Graham) e la madre Manda (Christine Tremarco), non riescono a capire cosa stia succedendo.
Adolescence mette a fuoco quattro momenti e luoghi diversi con ogni episodio, ognuno concentrato su un aspetto diverso del caso.
Il primo giorno racconta l’arresto e il successivo si concentra sulla scuola. Un altro focalizzato sulla seduta con una psicologa, Briony Ariston (Erin Doherty), che valuta la situazione sette mesi dopo gli eventi, mettendo in scena un incredibile duello attoriale tra lei e Jamie. Infine il quarto episodio, che si svolge tredici mesi dopo, che esplora le conseguenze devastanti che il caso ha sui genitori, che affrontano le conseguenze del comportamento del figlio con colpa, dolore e rabbia, rimproverandosi su cosa avrebbero potuto fare di diverso per evitare tutto questo.
L’interrogativo della serie è chiaro: esiste un mondo sommerso che i genitori non riescono a vedere? I loro figli nascondono una personalità più violenta di quanto non appaia?
Man mano che la trama si sviluppa, ciò che inizialmente sfugge comincerà ad emergere: i social media, i commenti, i gruppi, le discussioni e le crescenti tensioni tra gli studenti. La pubertà è un universo intriso di coni d’ombra e violenze, piccole e grandi. E coloro che le infliggono e le subiscono non sono affatto preparati a fronteggiarle.
La serie si rivela anche come un dramma familiare. La sensazione che lascia è quella di un problema estremamente complesso e difficile da affrontare. Ed è proprio qui che risiede il suo principale valore argomentativo: l’adolescenza è una fase cruciale, in cui ogni dinamica sociale può contribuire a causare ferite profonde. Amicizie, esperienze, ego, ricerca di potere, reputazione digitale e mancanza di riferimenti sani la rendono un periodo di estrema vulnerabilità.
Le interpretazioni sono intense, ma ciò che colpisce maggiormente è l’impeccabile prova del giovane Owen Cooper. Nei panni di Jamie la sua presenza è precisa e implacabile. I suoi silenzi parlano più di qualsiasi parola, mentre oscilla tra innocenza e psicopatia con la naturalezza di un’altalena in un parco abbandonato. Il risultato è un’interpretazione straordinaria, capace di lasciare un segno profondo nello spettatore.
Adolescence offre uno sguardo rispettoso dell’universo giovanile; ciò che commuove e inquieta non è tanto la gravità degli eventi, quanto l’urgenza di comprendere cosa stia accadendo nell’interazione tra i ragazzi in un’epoca segnata da un disagio che si insinua come una lama, silenziosamente e profondamente.
È un’opera che trascina lo spettatore in un viaggio emotivo intenso, dando voce alle fragilità dei suoi protagonisti e portando alla luce un tema doloroso con una forza narrativa che riesce a renderlo al contempo crudo e inaspettatamente nuovo.
Sebbene il tono cupo e il ritmo lento non siano accessibili a tutti, la solida sceneggiatura, l’eccellente recitazione e la sobria regia la rendono un’esperienza che lascia il segno. Una sensazione di turbamento che rimane addosso, perché gli interrogativi che solleva e il senso di smarrimento rimbombano nella testa e nel cuore ben dopo la fine della visione.