After Life: recensione della prima stagione della serie televisiva britannica creata, diretta, prodotta e interpretata da Ricky Gervais
Ottimo concept distribuito da Netflix e creato dal carismatico Ricky Gervais che di questa miniserie non è solo protagonista ma anche il regista e sceneggiatore. Il rapporto tra l’attore e Hollywood è sempre stato un po’ conflittuale poiché il suo inconfondibile senso dell’umorismo ha spesso avuto la tendenza alla misantropia, sottolineando sempre i difetti propri e degli altri.
Con Netflix ha da tempo un rapporto di collaborazione proficuo – stand-up Humanity e il film Special Correspondents – e torna ora sulla piattaforma con After Life, una serie di sei episodi in cui unisce umorismo e dolore, affrontando il tema della perdita di una persona cara.
After Life non è una serie particolarmente divertente: è la vita quotidiana di Tony, un uomo con una grande depressione dopo la morte di sua moglie, che decide di vivere questa situazione a proprio modo, diventando un essere triste e spiacevole che non tace per niente e per nessuno, che promette a se stesso di dire sempre e solo la verità e di agire come gli pare perché nulla è più sufficientemente importante.
Al di là della dicotomia nella personalità del protagonista, tutto ciò che lo circonda è concepito per enfatizzare la propria solitudine. Per Tony, il mondo è ora un posto monotono, grigio e privo di interesse. E la verità è che la serie riesce a catturare quella sensazione di nonsense costruendo un universo lento e malinconico con un ritmo triste e doloroso ma che, a sua volta, è stranamente vicino e confortante.
La tragedia va di pari passo con le storie ridicole che deve scrivere per il suo giornale – una tattica per additare un certo giornalismo odierno – e con i personaggi secondari che offrono una scialuppa di sollievo umoristico. Gervais evita l’arte del patetico, del morboso e dell’uso della morte come un gancio per sperimentare le situazioni più bizzarre o lamentose. Riesce invece – ad onta dei capricci del suo personaggio – a rendere empatica la sua lotta personale per andare avanti, affrontando ogni giorno uno per volta.
Anche se rende difficile la vita dei suoi familiari e dei colleghi, Tony regala piccoli gesti affettuosi che fanno capire come non sia uno sciocco egoista ma un essere umano così ferito che la sua prima reazione è quella di allontanare tutti, soprattutto quelli che vogliono aiutarlo.
Vale la pena vivere? È questo il leitmotiv che pervade tutta la serie, invitandoci tutti a riflettere senza cadere nel cliché del “andrà tutto bene”.
After Life è una scommessa interessante che brilla per il suo coraggio. La grazia non è nei colpi di scena ma nel viaggio che porta avanti il protagonista. L’odissea emotiva di un uomo sarcastico, maleducato, brusco e disfattista che crede di aver perso tutto e ripudia la sua vita ma che, a ben vedere, è solo il grido muto di qualcuno alla ricerca di uno scopo, che spera ancora di ricominciare, ma ha dimenticato come amare. Se stesso in primis.
Gabriela