All We Imagine as Light recensione film di Payal Kapadia con Kani Kusruti, Divya Prabha, Chhaya Kadam e Hridhu Haroon
All We Imagine as Light è una favola d’amore ambientata nella controversa città di Mumbai, che ospita circa ventidue milioni di abitanti solo nel centro urbano. Una città fatta di umili case minacciate dallo sfitto e di imponenti quanto orrendi grattacieli, dove la povertà più profonda convive con una ricchezza esorbitante. Con questa opera, la regista e sceneggiatrice Payal Kapadia ci racconta i sogni che popolano questa moltitudine.
Il punto di vista iniziale è quello di un visitatore della città. Le prime inquadrature, infatti, non si soffermano, ma osservano dai binari di un treno tutte le persone che popolano la città, tutte le luci che illuminano la notte, unendo lo sguardo romantico di un turista a quello rassegnato e abituato di un abitante della frenetica metropoli.
Fin da subito ascoltiamo le voci e le testimonianze dei volti che rendono la città viva. Da spettatori abbiamo l’impressione di vedere un documentario, finché la macchina da presa si ferma su una signora: lo sguardo stanco, ma ancora curioso. Senza fretta, la regista svela la storia della nostra protagonista, mantenendo un approccio narrativo quasi voyeuristico.
Prabha (Kani Kusruti) è un’infermiera trasferitasi anni prima a Mumbai. È sposata con un uomo che non ha conosciuto prima del matrimonio e ha continuato a essere un estraneo: il marito torna a lavorare in Germania, le chiamate si fanno meno frequenti, fino a fermarsi. Prabha vive una vita precaria in attesa di qualcosa che non arriverà mai: aiuta chi è in difficoltà, ma evita le uscite con le colleghe e rifiuta il corteggiamento di un nuovo dottore, aggrappata ai doveri coniugali e a una vita matrimoniale felice che non si realizzerà mai
Parallelamente seguiamo la storia della sua coinquilina, Anu (Divya Prabha), giovanissima infermiera che vive una condizione di precarietà diametralmente opposta: vorrebbe rifiutare il matrimonio combinato che i suoi genitori le vogliono imporre. Porta i capelli corti, alla moda, e si vede con Shiaz (Hridhu Haroon), un affascinante ragazzo musulmano con cui non ha il coraggio di ufficializzare la loro relazione.
Le loro vite si sviluppano in questa indecisione, tenendo segrete condizioni che considerano umilianti: per Prabha, quella di donna abbandonata e non degna d’amore; per Anu, quella di ribelle, giudicata come una poco di buono. Ad unirle ulteriormente è la figura di Parvaty (Chhaya Kadam), una barista dell’ospedale, onesta e semplice, che si scontra con il “Costruttore,” una figura capitalista che la tratta come un numero, una persona qualunque tra tante, senza i documenti che attestino il suo diritto di vivere nella sua stessa casa.
Con questo film, Kapadia si fa portavoce degli abitanti che, nella grande metropoli, possono essere dimenticati. Anu riesce a romanticizzare questa città complessa, Prabha a sperare in un cambiamento utopico guardando sognante le luci degli edifici in lontananza.
Durante la scena di una festa religiosa, sentiamo delle voci dirci come l’unica possibilità per sopravvivere in città è continuare ad avere delle “illusioni”. Il circolo vizioso di struggersi nell’attesa, sperando in qualcosa di meglio, si interrompe solo quando ci si allontana dai grattacieli e si accompagna Parvaty nel suo villaggio.
Lì, la musica di Topshe, giovane musicista indiano, si apre a una soluzione più onirica. Il vento monsonico, imponente in città, viene sostituito dal calore della foresta e dal rumore del mare: tutto comincia con un ballo rituale delle tre donne e la condivisione di una bottiglia di liquore.
Da quel momento, Anu si lascia finalmente travolgere dall’amore per Shiaz all’interno di una grotta, Prabha salva un uomo dal mare e gli fa impersonare il marito, libera finalmente di trovare una conclusione a quella storia. Libere di accettare e di accettarsi, in quel baretto sul mare, la musica cambia: una nuova era in cui, pedine di una storia più grande, della città e della tradizione, si sentono finalmente libere di scrivere la loro storia.
Prabha non giudica più Anu e accoglie Shiaz presentandolo a Parvaty. Da quel momento è la loro storia e non più quella di Mumbai.