Amanti recensione film di Nicole Garcia con Pierre Niney, Stacy Martin, Benoît Magimel, Christophe Montenez, Nicolas Wanczycki e Roxane Duran
Amanti, presentato durante la 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in competizione per il Leone d’Oro, vede il ritorno dopo quattro anni della regista francese Nicole Garcia, ancora una volta alle prese con una storia drammatica.
Le premesse per tirare fuori un grande film dalla storia di Amanti, scritta dalla regista con la collaborazione di Jacques Fieschi, c’erano tutte. Eppure il film non funziona. Protagonisti della pellicola sono Stacy Martin e il membro della Comédie-Française Pierre Niney, ma non è certo bastato il loro talento a risollevare il film da una serie di vuoti di sceneggiatura – inspiegabili, vista la presenza di Fieschi, la cui ultima fatica è stata il premiato Illusioni perdute – e povere scelte stilistiche.
La storia segue le vicende di Lisa (Stacy Martin) e Simon (Pierre Niney), e, come si evince dal titolo, i due sono, appunto, amanti. La relazione tra i due non è delle più felici, Lisa non riceve le attenzioni che si merita e Simon è totalmente preso dai suoi (illeciti) affari, per cui non ha mai tempo (o voglia?) di stare insieme alla ragazza. In caso lo spettatore non si accorga della freddezza e della distanza che intercorre tra i due, la fotografia non manca di ricordarlo con una color correction così esagerata ed espressiva all’inverosimile da risultare vignettistica. I colori sono freddi, tutti i toni vertono sul grigio e sul nero, una scelta troppo enfatica per un film che cerca in tutti i modi di apparire come sobrio e naturale.
La storia si divide in tre parti, ciascuna scandita dalle località in cui i due finiscono ad abitare, ognuno prendendo strade diverse perché si sa, la vita riserva sempre mille sorprese agli amanti. Che però non mancano di ricongiungersi in modi del tutto inaspettati. Da Parigi, dove è ambientata la prima parte della pellicola, vediamo Lisa e Simon finire in una non meglio specificata località dell’Oceano Indiano. La seconda parte del film – purtroppo non ironicamente – si chiama davvero “Oceano Indiano”. Dalle tristi vie di Parigi, grigie e monotone, si passa alla vita sulla spiaggia, dove prepotentemente ritorna la color correction (uno potrebbe pensare sia un personaggio al pari dei protagonisti, da tanto forte e invasiva la sua presenza in scena), stavolta però con il classico e collaudato filtro giallognolo che contraddistingue le località di mare dove tutto il giorno splende il sole. Quindi, in questo gioco di associazioni che ci propone Nicole Garcia, alla distanza della relazione corrispondono colori sbiaditi e freddi mentre al calore dell’Oceano Indiano – a cui segue un progressivo riavvicinamento tra i due – la scintilla che tra i due sembra scoccare. Le metafore tra colori e sensazioni dei protagonisti sono così tirate agli estremi che viene da domandarsi se la Garcia prenda per stupido lo spettatore.
Le parti, che in totale sono tre, risultano così scollegate e i salti temporali così mal costruiti che il tutto sembra andare a parare nella costruzione di un film ad episodi, quando, in realtà, si tratta di una storia unica. Nonostante i grandi salti temporali – i grandi salti mortali temporali, si potrebbe dire – la pellicola riesce ad essere didascalica fino ai minimi dettagli e se non fosse così confusionaria e sconclusionata sarebbe quasi una nota di pregio. È difficile riuscire ad essere al tempo stesso due opposti, ma qui siamo di fronte ad un didascalico così didascalico, ma così profondamente didascalico, che dopo che i due si sono incontrati nuovamente a distanza di anni, il personaggio di Simon ha anche l’ardore di esclamare “Ci siamo ritrovati!”. Sì, abbiamo notato.
Non si capisce poi con quale intento la regista francese abbia deciso di inserire, sparsi qua e là, alcuni (annacquati a dir poco) elementi di critica sociale. Simon, proveniente da una classe meno abbiente, deve mantenersi da vivere spacciando, mentre Lisa riesce a farsi mantenere da un marito molto ricco e inizia a vivere una vita in cui non si è mai ritrovata. Lisa finisce per assorbire tutti i tratti negativi dell’ambiente in cui si inserisce, diventa così cinica da paragonare l’adozione di un figlio ad un atto di compravendita. Simon, invece, apparentemente rimane fedele a ciò che è sempre stato, con un tocco di invidia in più nello scoprire la nuova vita che Lisa si è fatta. Amanti, in conclusione, non funziona in nessuno dei generi in cui pretende di essere etichettato: né come dramma, né come thriller, né come storia d’amore; in questo disperato tentativo di rientrare in più generi, riesce solo ad essere facilmente dimenticato subito dopo la visione.