Ambulance recensione film di Michael Bay con Jake Gyllenhaal, Yahya Abdul-Mateen II, Eiza González, Garret Dillahunt, Keir O’Donnell e Olivia Stambouliah
Quindicesimo film da regista per il celeberrimo “Diavolo di Hollywood”, come viene definito neanche troppo scherzosamente Michael Bay dalla critica statunitense, Ambulance è un tentativo di ritorno alle origini; a quella sottocategoria del buddy cop ossessivamente autocitato all’interno della pellicola (dove si fa riferimento a film dello stesso Bay come Bad Boys o The Rock) che però non riesce a restituire né l’atmosfera, né la fresca azione goliardica delle pellicole d’azione di fine anni 90’.
Will Sharp (Yahya Abdul-Mateen II), ex-marine di istanza a Kabul, ora è un civile in congedo a Los Angeles ed è alla disperata ricerca di un lavoro per potersi permettere di pagare le cure mediche necessarie alla moglie gravemente malata di cancro.
Durante una giornata di colloqui, fa visita a suo fratello Danny (Jake Gyllenhaal), gestore di una concessionaria di auto di lusso ed esperto di rapine. I due, dopo una lunga discussione, decidono di prendere parte, assieme ad una mal assortita banda di ladri, alla rapina di una banca tentando così di rubare trentasei milioni in contanti. Qui le cose si mettono male, interviene la SWAT che apre il fuoco e fa fuori la squadra di Danny. Ai due fratelli non resta che la fuga, ma durante l’evacuazione Will ferisce gravemente un poliziotto durante una sparatoria.
Preso dal forte senso di colpa Will lascia che intervenga un’ambulanza per dare soccorso al poliziotto ferito, ma durante il soccorso vengono raggiunti dalla squadra speciale e Danny decide di requisire il veicolo e continuare la fuga.
Così i due fratelli iniziano una folle corsa per seminare la polizia, tenendo in ostaggio il poliziotto ferito e il paramedico a bordo, la giovane Cam (Eiza González).
Fin dall’inizio di Ambulance la narrazione è affidata ad un montaggio frenetico, una macchina da presa a spalla ossessionata dai primissimi piani degli attori, “dronate” di palazzi montate qua e là e costanti riprese dal basso alla Orson Welles (che di Quarto potere hanno ben poco).
L’effetto è disorientante, quasi stordente nell’assistere a dialoghi e azioni quotidiane riprese in maniera così adrenalinica.
Dopo una quarantina di minuti inizia la rapina, con sparatorie, inseguimenti e tanta, tanta azione e lo stile rimane immutato. Qui però lo stile sopraccitato risulta perfettamente calzante e si comprende immediatamente che il regista predilige un solo stile di ripresa e lo adatta ad ogni tipo di situazione; come se fremesse per far esplodere, sparare e inscenare inseguimenti al cardiopalma e reputasse di secondo piano lo sviluppo narrativo degli eventi.
In effetti è proprio quello che emerge.
La pellicola risente tanto del decennio 2007-2017 in cui Bay filma prevalentemente automobili (vedasi la serie di film sui Transformers). Si percepisce dalla stereotipizzazione dei personaggi e dalla scarsa rilevanza drammaturgica della narrazione.
Nel film non sembrano esserci davvero delle persone ma ogni scena è circondata da veicoli. Tutto è un balletto tecnicamente ineccepibile per glorificare il car (e gun) porn di cui Michael Bay è maestro.
Persino due giganti come Jake Gyllenhaal e Yahya Abdul-Mateen II ne escono con le ossa rotte, perché quando non sparano o guidano a velocità folli, i loro dialoghi sembrano provini, tentativi maldestri di adattare le loro umanità a frasi stringate e lapidarie.
Trascurando la superficiale catena di cause e conseguenze che dà origine e ritmo alle azioni e la mancanza di caratterizzazione dei personaggi, e acclarato che il bello del film è l’essere un Fast & Furious in ambulanza, ci sono un paio di cose che proprio non riusciamo a non criticare dell’ultima pellicola di Michael Bay.
La prima è che il regista non teme di trasgredire una delle principali regole non scritte di Hollywood: “non si mostra la morte dei bambini”. Ambulance ci va molto vicino e per fortuna si ferma un passo indietro, scongiurando la rivolta popolare e le accuse di meschinità. La seconda, la più grave per noi, è che di nuovo il regista sembra non saper rappresentare l’universo femminile.
Le donne sono tre in tutta la pellicola: una ha due battute, la seconda è un poliziotto in sovrappeso che guida la camionetta del capitano della polizia e non ha alcuna voce in capitolo sulla vicenda, e la terza è la sexy co-protagonista. Vittima di continue violenze fisiche e psicologiche, da ostaggio si riscopre vittima della sindrome di Stoccolma ed empatizza con i malavitosi protagonisti, proprio come accade nel film originale danese di Laurits Munch-Petersen, Ambulancen.
Il nuovo film di Michael Bay non riesce a restituire l’umanità nell’azione e rischia di apparire un preziosissimo involucro vuoto.
Esplosioni, lamiere, proiettili, auto fluorescenti, Ambulance è tutto questo e anche di più e per gli amanti del genere action senza grosse pretese risulterà un film di 140 minuti (troppi) tutto sommato godibile, discorso decisamente diverso per chi cerca un’azione al servizio della narrativa, una costruzione drammaturgica coerente, una regia pulita e detesta i what a f**k gratuiti.