Angel Heart – Ascensore per l’inferno recensione del film scritto e diretto da Alan Parker con Mickey Rourke, Robert De Niro, Lisa Bonet e Charlotte Rampling
Nel 1978, lo scrittore William Hjortsberg pubblicò Falling Angel, romanzo ibrido di detective story e horror con protagonista un investigatore privato alle prese con un caso ai limiti dell’occulto. Nove anni più tardi, il libro cattura l’attenzione del regista inglese Alan Parker, reduce dai successi di Fuga di mezzanotte e Pink Floyd – The Wall, che decide di trasformarlo in un film. Spostata la narrazione da New York a una cupa New Orleans dedita ai culti vudù, Alan Parker chiamò a raccolta l’allora sex symbol Mickey Rourke, un peso massimo del calibro di Robert De Niro e la star de I Robinson Lisa Bonet, e partì all’avventura. Il risultato dei quattro mesi di riprese fu Angel Heart, una creatura filmica strana ma affascinante, forse la più lurida e torrida della storia del cinema americano se si esclude Non aprite quella porta di Tobe Hooper.
Tuttavia la critica storse il naso, additandolo come un lungometraggio, sì, visivamente potente ma inutilmente contorto sotto il profilo narrativo e, soprattutto, sessuale in maniera non necessaria. La verità è che Angel Heart non meritava tanto fango e, sebbene nel corso degli ultimi decenni si sia costruito una cerchia di ammiratori, resta ancora oggi un’opera sottovalutata.
Angel Heart – Ascensore per l’inferno: sinossi
Anni Cinquanta. Harry Angel (Mickey Rourke) è un investigatore privato di New York che viene ingaggiato dall’inquietante ed elegante cliente Louis Cyphre (Robert De Niro) per indagare sulla misteriosa scomparsa di Johnny Favorite, un cantante blues particolarmente apprezzato durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le ricerche condurranno Angel a New Orleans, mettendolo a contatto con vari testimoni tra cui la veggente Margaret Krusemark (Charlotte Rampling) e l’avvenente ragazza madre di colore Epiphany (Lisa Bonet).
Mentre gli indizi e una serie di omicidi fortuiti non faranno che allontanare Angel dalla soluzione del mistero, l’investigatore si troverà intrappolato in una rete di violenza ed esoterismo che lo condurranno alla più spietata delle realtà.
Angel Heart – Ascensore per l’inferno: perdersi nel labirinto del male
I locali squattrinati di Brooklyn e l’ambiente rurale, quasi primigenio, di New Orleans, rappresentano le coordinate geografiche di un racconto hard-boiled in piena regola, solo portato alle estreme conseguenze. La contaminazione tra thriller investigativo classico a tinte erotiche e peculiarità dell’horror soprannaturale genera un percorso narrativo impervio per protagonista e spettatori. In fase di sceneggiatura, Alan Parker ha preferito rinunciare all’originalità dei colpi di scena, soprattutto nel finale, perché Angel Heart non mira tanto alle sorprese della componente mystery quanto alla narrazione di un viaggio interiore, inesorabile e senza speranza, tra gli abissi dell’anima.
Satanismo e suggestione vudù si intrecciano senza soluzione di continuità a ritmo di blues sulle note dei sax di Trevor Jones (L’ultimo dei Mohicani); la piovosa provincia del Sud fornisce terreno fertile per immagini sconcertanti – piogge di sangue durante gli amplessi, macchie di tabacco e carne madida di sudore – che vanno ad arricchire un affresco sul male labirintico ed evocativo, sospeso in una nube di miasmi surreali che odorano di morte e trasudano sex appeal.
Se il balletto tra sogno e memoria frammentata (Angel Heart è tra le dichiarate ispirazioni di Christopher Nolan per Memento) e il ritratto di una katabasis nei misteri della mente e del destino intrigano per tutta la durata ma non dicono nulla di nuovo sul fronte tematico, ciò che lascia davvero a bocca aperta è la lurida carnalità dei rapporti conflittuali tra esseri umani, all’insegna dell’oscuro passato, degli scheletri nell’armadio e di una sessualità animalesca.
Angel Heart – Ascensore per l’inferno: il noir al tempo di MTV
L’opera di Alan Parker è orgogliosamente figlia dei suoi anni, ma ciò non va interpretato come un giudizio negativo. Negli anni Ottanta, il mondo del cinema e quello del video musicale avevano dato inizio ad un flirt che dura tutt’oggi, tant’è che ormai si è perso il conto dei cineasti che hanno funto da ponte tra i due linguaggi. Parker, regista formatosi nella factory pubblicitaria di Ridley Scott, rientra senza forzature nella categoria e, anzi, è andato oltre con la sperimentazione visiva rispetto a molti contemporanei.
La mano del cineasta si fa pesante quando la vicenda butta sull’onirico, soprattutto per come vengono impiegati i contrasti sgranati tra tenebre fitte e lame di luce gelidissima. La scenografia è molto evocativa e ammanta storia e personaggi di una cappa putrida e malata indimenticabile. Sorprendente il lavoro tecnico del montaggio di Gerry Hambling, che imprime selvagge accelerazioni e sagge diluizione dei tempi filmici quando richiesto dal dramma. Sembra davvero di vedere un video di MTV a tinte acide, e sarà davvero difficile dimenticare la frenesia del rito vudù o del torrido e spintissimo rapporto sessuale tra Rourke e Bonet.
Angel Heart – Ascensore per l’inferno: il dramma dei borderline
Giunti alla nerissima conclusione del film, viene spontaneo chiedersi: Angel Heart sarebbe stato lo stesso senza il suo cast di alto profilo? Tra le critiche negative a cui si accennava a inizio recensione ne è stata mossa una nei confronti della recitazione, reputata fin troppo sopra le righe ma in realtà coerente con gli andamenti allucinatori del racconto.
Recitando appena un quarto d’ora, Robert De Niro non ha bisogno di presentazioni e tratteggia una figura mefistofelica impalpabile e al contempo solenne ma mai tronfia; mentre Lisa Bonet propaga per tutto il secondo atto una carica erotica che buca lo schermo. Chi ne esce meglio è il trucido detective di Mickey Rourke, un Humphrey Bogart più svampito e sornione che arricchisce la galleria di personaggi maledetti allo sbando che hanno fatto la fortuna dell’attore americano, da 9 settimane e mezzo a Sin City, per arrivare a The Wrestler.
Sintesi: Bel thriller investigativo/psicologico appenna intaccato da aggraziate spennellate di horror, Angel Heart dimostra di non aver perso nulla della sua carica fascinatoria inquietante nel corso di un trentennio. La messa in scena potente e le interpretazioni di un cast di mostri sacri impediscono al maggior difetto del film (la prevedibilità dei colpi di scena) di privarlo di interesse. Un cult da riscoprire.