Armand recensione film di Halfdan Ullmann Tøndel con Renate Reinsve, Ellen Dorrit Petersen e Endre Hellestveit
di Giorgio Maria Aloi
In una scuola elementare della Norvegia, accade un fatto spiacevole, forse grave, dove sono coinvolti due bambini di sei anni, Jon e Armand. Quest’ultimo, nei bagni, avrebbe molestato sessualmente il compagno e avrebbe anche utilizzato anche una terminologia da adulto. Il personale didattico convoca la madre del presunto molestatore e i genitori della presunta vittima per cercare di risolvere la situazione, che si rivelerà tutt’altro che semplice. Questo evento metterà a nudo anche le vite dei genitori.
Il titolo fa pensare che la storia che si voglia concentrare su un personaggio di nome Armand (grande o piccolo che sia), dando l’impressione iniziale che questa sia la direzione principale. In realtà, non è assolutamente così.
Il primo lungometraggio del norvegese Halfdan Ullmann Tøndel si concentra, più che sul piccolo Armand, sugli adulti coinvolti (genitori dei ragazzi e personale scolastico). La prima parte esplora il tentativo un po’ maldestro (o, più precisamente, ipocrita) di cercare un chiarimento civile e gestire con maturità i conflitti sorti tra i due bambini. Questa dinamica ha molte similitudini con Carnage di Roman Polanski.
Armand si discosta dalla solita commedia satirica sui rapporti di classe, ma si dimostra tutt’altro. Il film è un’osmosi di generi, unendo il dramma al thriller psicologico e si scava in profondità nel concetto di famiglia, con l’intento di mettere a nudo e far cadere le maschere di alcune tipologie di famiglia.
L’ambientazione è una scuola scandinava alle soglie dell’estate e deserta di bambini, resi volutamente fuori dalle inquadrature. Nonostante ciò la loro presenza resta un elemento narrativo importante. I veri protagonisti sono i genitori e i docenti che si muovono tra corridoi e le aule.
La chiave del linguaggio utilizzato in questo film sono i simbolismi (puro linguaggio cinematografico), che però qui vengono resi un po’ comprensibili e neanche troppo velati.
Mentre emergono le ombre dei personaggi e una verità sempre più incerta, il film passa da un’allucinazione psicanalitica a una rappresentazione dei tratti teatrali. Spesso si cade nel dubbio e nella confusione tra realtà e trasfigurazione mentale.
Sicuramente il regista si è ispirato a Ingmar Bergman e Liv Ullmann (essendo loro nipote) e si nota che Armand trae ispirazione dal loro cinema, caratterizzato da inquietudini morali, coscienze in crisi e grida (anche mute) di donne e uomini che non hanno ancora fatto i conti con loro stessi e con il loro disfunzionale infantilismo.
Il film ha i suoi difetti, ma non si può negare l’interpretazione di Renate Reinsve (vista in film come La Peggiore Del Mondo, A Different Man e Another End) sia di un livello superiore rispetto a quella degli altri membri del cast.
Un’altra parola chiave del film è confronto. Il confronto avviene tra due generi, ma anche tra due fazioni e due spazi: spazio scenico e lo spazio umano di due “fazioni”. Armand è un film che scorre con un ritmo altalenante, sfiorando le due ore e gestito dalla regia calma di Tøndel che mescola elementi da thriller con tocco teatrale, accompagnato dalla colonna sonora di Ella van der Woude.
Non si può non considerare la tensione crescente, che invoglia costantemente gli spettatori ad essere giudici soggettivi di quello che poi andrebbe letto come una disamina sulle sovrastrutture e sulle ossessioni moderne, enfatizzate da un(micro)cosmo in cui il sospetto e il pregiudizio sono il cardine su cui far leva.
Del resto Armand è un vero circo umano, in cui il confronto diventa scontro (e viceversa) diventando così lo specchio moderno. Del resto, è questo che fa il cinema.