Aspromonte – La terra degli ultimi recensione del film di Mimmo Calopresti con Valeria Bruni Tedeschi, Marcello Fonte, Francesco Colella, Marco Leonardi e Sergio Rubini
Il l 20 gennaio 1945 la popolazione di Africo, un piccolo paese sperduto nell’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, assaltò con armi da fuoco e distrusse con bombe a mano la locale caserma dei carabinieri, costringendo i tre o quattro militi presenti a rifugiarsi negli scantinati e liberandoli solo dopo averli disarmati.
Qualche anno dopo, nel marzo 1948 il settimanale L’Europeo pubblicò un reportage da Africo a firma del giornalista Tommaso Besozzi, corredato da alcune fotografie di Tino Petrelli; tale reportage (che faceva parte di un’ampia inchiesta sulle condizioni del Mezzogiorno promossa da Arrigo Benedetti) mostrava come le condizioni del paese non fossero sostanzialmente migliorate rispetto a quelle descritte vent’anni prima dal meridionalista Umberto Zanotti Bianco. L’arrivo del cronista “del nord” nel borgo selvaggio calabrese è una delle scene – chiave di Aspromonte – La terra degli ultimi, il film che Mimmo Calopresti ha presentato in anteprima assoluta al 65o Taormina Film Festival.
Un lavoro corale in cui le storie dei protagonisti appena tratteggiate confluiscono nella storia di una comunità “indomita e fiera” di contadini che, stanchi della miseria e dello sfruttamento selvaggio decidono di ribellarsi e “fare da sé” per ottenere tutto ciò che manca a una vita dignitosa. Il film si apre con la scena del fiume umano degli Africesi che cala “alla marina” per esigere dal prefetto del luogo almeno il medico condotto e nella discesa a valle incrocia la nuova maestra (Valeria Bruni Tedeschi), una donna “forestiera”, è comasca, che per motivi non meglio precisati ha scelto la Calabria profonda come destinazione.
Ad Africo non c’è nulla di nulla: né l’acqua corrente, né l’elettricità e nemmeno una strada comunale; eppure siamo negli anni 50 del secolo scorso. Gli abitanti del villaggio, guidati da Peppe (Francesco Colella) e Cosimo (Marco Leonardi), lo fanno presente rumorosamente ai funzionari dello stato ma, non avendo ottenuto che vane promesse, passano all’azione iniziando a costruire da soli una strada che spezzi finalmente il loro isolamento. Il progetto è ostacolato da don Totò (Sergio Rubini), una sorta di capomafia contadino, che è terrorizzato da qualunque cosa – fosse pure la scuola pubblica o una strada – che possa turbare equilibri millenari e mettere in discussione il proprio potere sulla comunità.
Tutta la vicenda, compresi di drammi personali di Peppe, reduce di guerra abbandonato dalla moglie con un figlio bambino, e della maestra viene osservata e commentata da Ciccio (Marcello Fonte, miglior attore a Cannes per Dogman), perfettamente calato nel ruolo di un bizzarro e saggio poeta popolare che svolge quasi il ruolo del coro nella tragedia greca: un controcanto ironico e lirico allo stesso tempo.
Alla fine “le dure repliche della storia” hanno la meglio sulla caparbietà della gente di Africo. La cronaca ci dice che il paese fu abbandonato in seguito alla disastrosa alluvione del ’51 e le vicende della sua ricostruzione in un altro sito sono rimaste negli annali come uno dei più gravi scandali politico amministrativi della storia recente calabrese. La macchina da presa di Calopresti, nelle scene finali di Aspromonte, sorvola in elicottero i ruderi di Africo vecchio, portando un anziano signore – forse il figlio di Peppe ormai invecchiato – a ritrovare i luoghi della propria memoria.
Alla memoria di ciò che si è stati è infatti dedicato il film e l’intenzione di Mimmo Calopresti e della co-sceneggiatrice Monica Zappelli (I Cento Passi) è di fare conoscere a chi ha vissuto solo l’estetica del mattone a vista e del tondino di ferro un mondo perduto. Il racconto procede come una fiaba epica e arcaica, in cui la nostalgia per l’autenticità del mondo contadino non copre l’indignazione per le ingiustizie e i freni al progresso del sud Italia: il dominio mafioso, la cattiva politica, l’isolamento di intere comunità e soprattutto l’ignoranza che impedisce di viaggiare anche solo con la mente.
Tonino Cafeo