Mes amis, ci troviamo riuniti in questa stanza per rispondere ad una semplice domanda: è Sir Kenneth Branagh colpevole di aver massacrato un grande classico dirigendo e interpretando una nuova versione di Assassinio sull’Orient Express?
Le vacanze del celebre detective belga Hercule Poirot sono interrotte da un telegramma che reclama la sua presenza a Londra. Trovato miracolosamente un posto sul famoso treno Orient Express, Poirot viene avvicinato da un viscido mercante d’arte americano, preoccupato da numerose minacce di morte. La mattina seguente, con il treno bloccato da una valanga, l’americano viene trovato morto nel suo scompartimento. L’assassino deve essere ancora nel vagone. Ma non ha considerato la presenza di Hercule Poirot.
Il regista britannico, un tempo autore di film originali (Gli Amici di Peter, Nel Bel Mezzo di un Gelido Inverno), ormai è dedito a tempo pieno agli adattamenti letterari (da Shakespeare, a Cenerentola, passando per Frankenstein e Jack Ryan), ma questo particolare incarico nasconde due insidie: il confronto con il film di Sidney Lumet del 1974 (che diede un Oscar a Ingrid Bergman e una nomination al suo protagonista, Albert Finney) – confronto che comunque eviteremo -, e, più cruciale, il personaggio di Hercule Poirot.
Con Sherlock Holmes ormai si può fare quello che si vuole: le numerose versioni moderne, nella forma o nella sostanza (Robert Downey Jr., Benedict Cumberbatch e Jonny Lee Miller) dimostrano che si possono dare interpretazioni del tutto disparate dell’investigatore creato da Sir Arthur Conan Doyle. Hercule Poirot è ancora soprattutto personaggio letterario, e come tale, ci si aspetta che il ruolo rispetti il più possibile la descrizione proposta da Agatha Christie: i baffi curatissimi, la parlata con accento belga, i capelli corvini impomatati sono d’obbligo (gli occhi verdi, la testa ad uovo perennemente piegata da un lato, la claudicazione sono sempre state lasciate in secondo piano). Difficile rispettare questo canone sullo schermo senza cadere in uno (o entrambi) dei due opposti: la macchietta alla ‘ispettore Clouseau’ o il rigidissimo detective.
A priori, Branagh non sembrava tagliatissimo per il ruolo, complici anche le prime immagini che proponevano un baffo assai improbabile. Nel film, il mustacchio si fa accettare e il personaggio si rivela molto più umano del previsto: grazie alla bravura dell’interprete e a qualche licenza di sceneggiatura, Poirot si dimostra non soltanto un geniale maniaco dell’ordine e del metodo, ma un uomo con una vasta gamma di sentimenti (addirittura, da qualche parte nel mondo o nel passato, c’è una donna – e non è Vera Rossakoff). I Christie-puristi non saranno contenti, ma poco importa: Branagh vince la sfida di interprete.
Il Kenneth regista e lo sceneggiatore Michael Green (che nel 2017 ci aveva già regalato Logan e Blade Runner 2049) hanno attivato tutte le loro celluline grigie per dare vivacità ad una storia che, adattata pedissequamente, si potrebbe ridurre ad una serie di interrogatori ambientati in un vagone ristorante: ecco quindi una sequenza introduttiva nella migliore tradizione James Bond/Indiana Jones (solo con molta, molta, molta, molta, molta meno azione), grandiosi panorami, gustosi piani sequenza all’interno del treno, e qualsiasi pretesto possibile per uscire dai vagoni.
Ma non basta un piano ben congegnato per farla franca: l’attività cerebrale di Hercule Poirot (o di qualsiasi altro investigatore della Golden Age of Detective Fiction), vincolato da contratto a non rivelare nulla delle sue deduzioni fino agli ultimi capitoli, non costituisce un’esperienza cinematografica coinvolgente. Nonostante le rivelazioni aggiunte e qualche timido tentativo di azione, la trama è comunque una serie di interrogatori. Si tifa per Poirot, ma si rischia di perdere interesse nello svolgimento dell’indagine (ma forse questo dipende dalla familiarità che si ha con la storia).
L’elevato numero di personaggi e lo scarso tempo a disposizione non permettono di prendere familiarità con i passeggeri del treno: Daisy Ridley, il poco conosciuto Leslie Odom Jr., Josh Gad e la strepitosa Michelle Pfeiffer (la ri-rivelazione del 2017) hanno un ruolo più sostanzioso, ma il resto del cast (artisti del calibro di Penelope Cruz, Judi Dench, Willem Dafoe, Derek Jacobi, Olivia Colman) si deve accontentare di una o due scene da protagonista, e di far parte della tappezzeria per il resto del tempo.
Nonostante questo, il finale è un colpo da maestro: per Poirot, per Agatha Christie, ma anche per Branagh, che nel suo doppio ruolo conferisce alla soluzione dell’enigma un’intensità tale da risvegliare l’interesse anche di chi sapeva già tutto. Assassinio sull’Orient Express è salvo, Kenneth Branagh è innocente, e il buffo investigatore belga rischia di avere di fronte a sé un luminoso futuro cinematografico (con delitto).