Dopo un lungo cammino iniziato alla 78esima mostra di Venezia passando per innumerevoli festival nazionali e non, al Ravenna Nightmare Film Fest il regista Yuri Ancarani ritorna in terra natia per presentare Atlantide, girato nell’arco di tre anni nella laguna periferica di Venezia, quella meno raccontata e più lontana dagli sfarzi architettonici del centro città.
Si apre davanti agli occhi dello spettatore un microcosmo completamente alieno, che vede la vita brulicare sull’onde dell’acqua. Venezia è il sole, splendente ed inaccessibile e attorno ad essa tanti isolotti lagunari diventano piccoli pianeti. La telecamera segue le relazioni di un gruppo di adolescenti per cercare di raccontare, in maniera quasi antropologica, una generazione. Unendo un approccio puramente documentaristico e delle piccole libertà narrative, Ancarani crea un film che naviga tra sensazioni e suggestioni.
La periferia assume a Venezia caratteristiche uniche e difficilmente ripetibili altrove. Ecco che i motorini su due ruote diventano barchini, ecco che la competizione spaccona e a volte violenta diventa ragione di vita. Chi riesce ad andare più veloce, a spingersi verso il limite, acquista il rispetto degli altri ragazzi, in questo gioco che assume sempre di più il volto di una ossessione, di una nuova religione. La ricerca di emozioni estreme, per sfuggire alla desolazione della laguna, diventa essenza stessa della quotidianità dei ragazzi e diventa principio stesso del film. Ragazzi persi, senza sogni, catturati e risucchiati da una periferia che assume sempre di più l’immagine di un mondo post-apocalittico, condannato dall’inesorabile innalzamento del mare.
Come Atlantide, città mitologica perduta nelle profondità marine, anche Venezia sta lentamente affondando e forse in maniera simbolica molte altre componenti della società sprofondano con essa.
Yuri Ancarani arriva a questo lungometraggio dopo anni di sperimentazioni visive e video arte, sempre cercando di rimanere legato all’ambito documentaristico. L’esperienza maturata permette di avere sullo schermo un’incredibile attenzione all’immagine, con un uso ricercato della luce. I colori, le inquadrature iniziano sempre di più a fondersi con la storia per raggiungere il culmine sul lunghissimo piano sequenza finale, nel quale si viene catturati in un vortice visivo che inizia a scomporre l’immagine. La telecamera naviga nel mezzo dei canali di una Venezia notturna, quasi mitologica, nell’attesa di una nuova alba, in un tempo che diventa sempre più rarefatto ed onirico, puntando sulla percezione del singolo spettatore.
Corpi, luci e suoni si fondono in maniera fluida, in un film che sapientemente esalta la ricerca della sensazione, volutamente non convenzionale. Dalla quotidianità dei ragazzi della laguna, vengono estrapolati piccoli pezzi, per costruire un racconto che vuole esprimersi non tanto a parole ma attraverso l’uso delle immagini. Fotogrammi che racchiudono una piacevole ricerca estetica, senza però precludersi la possibilità di raccontare problemi e dubbi generazionali.
Si viaggia veloce, tra canali e palafitte, tra albe e tramonti, in continuo contrasto con le luci al neon delle barchine che illuminano l’oscurità di una notte pronta ad inghiottire tutti. Non ci sono vincitori né vinti, c’è solo la desolazione che lentamente prende il sopravvento. Un viaggio psicotropo verso l’ignoto al ritmo della techno, pellicola originalissima, impegnativa e magnetica.