Atlas recensione film di Niccolò Castelli con Matilda De Angelis, Helmi Dridi, Irene Casagrande, Anna Manuelli, Nicola Perot, Kevin Blaser e Anna Ferruzzo
– Voglio tornare ad arrampicare.
– Bene, non vedo problemi.
– Eh, ma non ho la forza.
– Tutto qui?
– Non mi fido più.
(Matilda De Angelis e Dorothée Müggler in Atlas)
Atlas è l’ultimo lungometraggio del regista svizzero Niccolò Castelli, ispirato all’attentato del 28 aprile 2011 al Café Argana di Marrakech, in Marocco, dove persero la vita diciotto persone. Protagonista della pellicola è Matilda De Angelis premiata come migliore attrice per l’interpretazione di Allegra al Taormina Film Fest. Allegra è una giovane donna che lavora per le ferrovie, organizza eventi musicali con i suoi amici e ha una grande passione per l’arrampicata. Il film inizia quando Allegra, insieme alla sua migliore amica Giulia (Irene Casagrande) e i rispettivi compagni Bennie (Nicola Perot) e Sandro (Kevin Blaser), arrivano in cima a una montagna delle Dolomiti, a piedi delle quali Allegra e Giulia sono nate e cresciute. Le due ragazze conoscono quelle montagne, sono casa loro e dopo anni di arrampicata vogliono una nuova sfida. Allegra propone di andare in Marocco per scalare l’Atlas, proposta che gli amici accettano con entusiasmo.
Abbandonate le montagne conosciute la linea temporale si infrange, quello che stavamo osservando era un ricordo. Allegra si muove nel buio e ci mostra allo specchio le cicatrici che ora segnano il suo corpo, un corpo infranto, fuori e dentro. Il film prosegue su due piani narrativi, il presente di Allegra che cerca di superare una sindrome da stress post traumatico e i suoi ricordi che fanno luce su quanto successo.
Dal Marocco solo Allegra è riuscita a tornare. Il viaggio dei quattro amici è stato interrotto bruscamente al suo inizio da una bomba che esplode in un bar e causando numerosi feriti e vittime, tra queste anche gli amici di Allegra, la quale sopravvive con numerose ferite. La ragazza decide di abbandonare l’arrampicata, si isola sempre di più in se stessa, allontanando i suoi amici e i suoi genitori. Il trauma vissuto si radica in lei cambiando la sua visione del mondo. Ella ha paura, non si fida e prova solo odio, sentimenti amplificati dal padre Fulvio. Interpretato da Angelo Bison, vediamo come Fulvio abbia sempre intavolato discorsi ignoranti su altri paesi e culture, discorsi che hanno ricevuto, dalla sua prospettiva, una tragica validazione con gli eventi che hanno colpito la figlia.
Per fortuna Allegra si liberà dall’odio grazie ad Arad (Helmi Dridi) un giovane rifugiato mussulmano. Il loro incontro scatenerà nella protagonista un attacco di panico perché porta con sé una custodia musicale che le rammenta l’ultima cosa che ha visto prima dell’esplosione. Allegra decide di seguirlo, un’azione a cui seguiranno altri comportamenti aggressivi nei confronti del giovane. Nel conoscere Arad, tuttavia, Allegra troverà finalmente qualcuno che capisca come si sente e che possa aiutarla a superare il suo dolore.
Le conosco le tue cicatrici.
(Helmi Dridi in Atlas)
Nel corso del lungometraggio Niccolò Castelli racconta il percorso di Allegra verso una sorta di accettazione di quanto successo, una lotta contro sentimenti violenti verso gli altri e sé stessa, alla ricerca di un nuovo panorama. Emblematica, infatti, è la scelta di Allegra di tornare ad arrampicare, ritornare a guardare il mondo dall’alto e il desiderio di vedere e conoscere un nuovo orizzonte.
Atlas è il risultato di una serie di incontri con persone sopravvissute ad attacchi terroristici, ricerche che fanno del film un’opera che è stata capace di raccontare con grande delicatezza l’esperienza di una vittima di un attacco terroristico e le sue possibili conseguenze, ma facendo ciò ha aperto un vaso di pandora ricolmo di odio e di intolleranza, temi che necessitano di essere affrontati con maggior ampiezza e attenzione nei confronti di coloro che in questa situazione sono vittime.
Il regista ha affermato che «Atlas è il tentativo di capire come sia possibile superare le nostre paure nell’incontro e nell’apertura verso il diverso». Il film affronta correlativamente all’esperienza di Allegra il tema del razzismo e dell’islamofobia in Italia, tematiche che purtroppo rimangono tristemente sullo sfondo e che non vengono analizzate da un punto di vista sistemico. Se l’esperienza di Allegra diviene un triste e terribile punto di vista delle paure collettive di molti oppositori a tematiche quali immigrazione e integrazione, queste paure sono abbandonate unicamente in funzione del suo superamento del trauma di una singola persona. Il film decide di mostrarci diverse sequenze di intolleranza e “micro-aggressioni” nei confronti di persone nere e di colore, tra cui lo stesso Arad, una serie di immagini dolorose che diventano ancora più terribili poiché filtrate dallo sguardo di una persona come Allegra, la quale vive un trauma che deve ancora superare. Gli eventi che ha vissuto hanno generato in lei una serie di sentimenti di paura assolutamente validi (per cui ovviamente è necessario un percorso al fine di superarli), ma questo non può essere una scusante per il comportamento tenuto ad esempio con Arad in diversi momenti, quando il suo trauma sfocia in molestie e aggressioni verbali verso di lui.
Se il film ha il pregio di affrontare una tematica troppo spesso ignorata nel nostro paese, ha il “difetto” di riuscirci solo in parte. Il personaggio di Arad assume il ruolo di un tool utile perché Allegra superi le sue paure, ma del trauma di lui non sappiamo nulla e del suo passato ci vengono fornite pochissime informazioni, le quali ci fanno intuire che anch’egli è stato vittima di un’esplosione quando viveva in Iran. Dell’esperienza di Arad come rifugiato non sappiamo nulla e le conversazioni con Allegra sono quasi a senso unico, il film ci mostra unicamente il punto di vista della protagonista verso una comunità di persone che rimane sullo sfondo.
Nel corso del film si sente la mancanza di un racconto più ampio ed è come se si perdessero di vista i personaggi secondari: i genitori di Giulia, ad esempio, appaiono in poche scene esclusivamente come controparte della famiglia di Allegra, caratterizzata dall’ignoranza del padre (trattata in maniera superficiale) ma, soprattutto, a restare sullo sfondo è Arad, un personaggio che poteva essere una grande opportunità per riflettere sull’immigrazione, l’islamofobia e il razzismo in Italia.