Avatar: La Via dell’Acqua recensione film di James Cameron con Sam Worthington, Zoe Saldaña, Sigourney Weaver, Stephen Lang, Kate Winslet, Cliff Curtis ed Edie Falco
Lettore, non credere che la durata effettiva di Avatar: La Via dell’Acqua sia di tre ore e dieci minuti. Questa è un’indicazione organizzativa per il ticket della sosta o per l’ultima coincidenza utile che unisce Pandora alla tua abitazione. In brochure o nella preview del cinema non si possono inserire informazioni dettagliate sui possibili tempi percepiti, ma è qui che entriamo in gioco noi con un compendio pronto all’uso.
Se hai scelto di prepararti alla visione della nuova impresa visivo-produttiva di James Cameron rispolverando il successo ibrido del 2009, potresti incorrere in un film che supera la durata della versione integrale di Fanny e Alexander, reiterando la dinamica invaso vs invasore in un campo di battaglia più ampio e letteralmente più profondo. Perché vederne due, quando il secondo sarà inevitabilmente più figo e esteticamente aggiornato del primo?
Con ancora ben impressi nella mente lo stupore e le lacrime da sforzo della visione potenziata dagli occhiali 3D, Avatar: La Via dell’Acqua trasforma il suo minutaggio in un’attrazione senza fine a cui può accedere pagando un singolo biglietto. La via dell’acqua non è solo quella intrapresa dalla famiglia Sully (Sam Worthington e Zoe Saldana con figli naturali e adottivi) per sfuggire alla vecchia-nuova minaccia. E’ anche lo sfoggio di un progresso tecnico che farà impallidire registi, direttori della fotografia e produttori rendendo Titanic un’inezia. Tempo percepito: sessanta minuti, quasi quasi lo guardo in loop fino al sanguinamento delle pupille.
Avete avvertito un’affinità tematica con il lirismo ecologico del primo capitolo? La connessione uomo/ambiente è ancora centrale in un film che si affida al concetto di pianeta come organismo retto dall’armonia delle sue componenti. L’acqua svolge così un ruolo cruciale nel rinvigorire una visione del mondo in cui la natura è permeata dall’uomo e dalle altre specie. Il contrario, cioè il monopolio sullo sfruttamento della vita, è la battaglia che le tribu Na’vi porteranno avanti anche nei prossimi capitoli. Siamo dalle parti delle due ore e quaranta, con smania per quello che sarà nel 2024.
Al netto diBalla coi lupi e Pocahontas, Avatar aveva padroneggiato i dettami di Robert McKee per sorreggere investimenti fuori scala e un nuovo regime visivo. Avatar: La Via dell’Acqua non cade lontano dall’albero e guarda al passato che torna in tutta la sua malvagità per distruggere i sogni di tranquillità di una famiglia. Niente di originale, niente di così particolare da essere azzeccato, con in più il malus di una costante sensazione di poter risolvere tutto con molte meno perifrasi. Forse il tempo che più si avvicina a quello riportato sulle istruzioni. Tre lunghissime ore, sonnolenza inclusa.
Dimenticando tutto il pregresso, lasciando da parte approfondimenti, retroscena e piani di rientro del budget investito, Avatar: La Via dell’Acqua funziona al netto dei suoi limiti. Non c’è ancora equilibrio tra tecnica e sceneggiatura, ma gli amati abissi del regista canadese rivelano un cuore che batte nonostante tutto. L’acqua dà respiro e ampiezza a quello che sembra piccolo e farraginoso senza la sua presenza. La tecnologia svetta quando racconta la natura di Pandora, la scrittura inciampa quando deve far muovere la storia conoscendo già i punti d’arrivo. Seguendo questa nuova via, sembra di uscire dalla sala dopo due ore e dieci minuti circa. Un tempo efficace e in linea con con gli standard del nostro presente ma che contiene inevitabilmente anche gli altri sopra descritti. La sua più grande vittoria e il suo più grande fardello.