Babygirl recensione film di Halina Reijn con Nicole Kidman, Harris Dickinson, Antonio Banderas, Sophie Wilde e Esther McGregor
Quando una manciata di anni fa anche il mondo dell’intrattenimento fu obbligato a prendere atto dell’inquietante baratro socio-culturale che intercorreva tra i due sessi, la gran parte degli sceneggiatori e dei produttori di Hollywood si convinse che la soluzione più efficace e indolore fosse quella di iniziare a rifilare al pubblico un inedito archetipo femminile, capace di restituire una nuova immagine della donna all’interno dell’odierno panorama audiovisivo.
Con il passare del tempo, tuttavia, l’operazione si è rilevata goffa e mal concepita, dato che la tendenza – non del tutto tramontata – era quella di delineare caratteri fastidiosamente monodimensionali, forti di una massiccia corazza composta unicamente da virtù e pregi, la cui superficie risultava tragicamente immune a quelle affascinanti crepe (difetti) in grado di elevare la drammaturgia e il potenziale emotivo di un personaggio.
La soluzione ad una tanto frivola soluzione editoriale non poteva che provenire da una generosa schiera di attrici, sceneggiatrici, autrici e registe, i cui intenti si sono idealmente congiunti in una precisa missione: riscrivere il ruolo della donna all’interno della moderna offerta audiovisiva. Ecco che, nel corso degli anni, la presenza di caratteri femminili dalla piscologia credibile e stratificata è andata esponenzialmente aumentando, così come le aspettative nutrite da attenti osservatori e analisti nei confronti di quei lungometraggi attenti al tema del ‘femminile’.
Compiere una disamina di Babygirl senza preoccuparsi di specificare quanto detto nelle precedenti righe, apparirebbe come uno sterile e deleterio tentativo di sottrarre questo affascinante lungometraggio all’odierno contesto cinematografico, dove, suo malgrado, molte delle tematiche e delle formule narrative adoperate da Halina Reijn & co. risultano oramai collaudate.
Difatti, forma e contenuto del film con protagonista Nicole Kidman perdono di efficacia solo ed esclusivamente se filtrate attraverso un occhio consapevole, che si (pre)occupi di immergerne esiti e soluzioni narrative all’interno del traboccante calderone della contemporaneità. Al contrario, se ci si astrae dal frenetico quadro socioculturale che ha piacevolmente caratterizzato l’ultima stagione cinematografica, ecco che le virtù del progetto emergono prepotentemente, restituendo a Babygirl quel tanto agognato fascino che regia, sceneggiatura e attori tentano di conquistare senza soluzione di continuità dal primo al 114esimo minuto.
A questo punto, tuttavia, ci tocca disattendere in parte quanto detto in apertura, poiché, a prescindere dalla dubbia originalità delle tematiche in esso contenute, risulta complesso non riconoscere al progetto – in uscita negli Stati Uniti il 25 dicembre 2024 (non a caso il film è ambientato durante le feste natalizie) – un certo coraggio: porre al centro dell’economia drammaturgica del film una protagonista (Nicole Kidman) intenta a rifiutare vigorosamente le conseguenze di decenni di lotte femministe, per rifugiarsi nel malsano ma rassicurante terreno della subordinazione, manifesta una lodevole audacia contenutistica, che, se non altro, ha permesso a Babygirl di risultare una delle proposte più divisive della kermesse veneziana.