Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades recensione film di Alejandro G. Iñárritu con Daniel Giménez Cacho, Griselda Siciliani e Ximena Lamadrid
Il ritorno alla Mostra del Cinema di Venezia per Alejandro G. Iñárritu è all’insegna di un (lungo) film dalla forte impronta autobiografica, Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades, una summa dei capisaldi della sua poetica come regista. Un film che per certi versi ricorda È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino, tra i più recenti, o l’intramontabile 8½ di Federico Fellini.
Silverio Gama (Daniel Giménez Cacho) è un giornalista messicano in procinto di ricevere un premio in patria per il suo ultimo documentario, intitolato proprio Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades. I giorni che precedono la premiazione saranno un turbine di interviste, legami famigliari, ripensamenti e riflessioni sul valore della (propria) arte e su quale sia in fondo il senso della vita.
Inizia con una nascita – apparente – il film e con una morte si conclude, andando a racchiudere in una strutta ad anello perfetta quello che non è altro che un lungo viaggio tra le ansie e le preoccupazioni di un giornalista, alter ego perfetto di Iñárritu, anche lui giunto a metà del proprio percorso artistico e di vita, affetto dalla sindrome dell’impostore. Si tratta del primo film del regista ambientato in Messico dopo Amores Perros e il primo lungometraggio dopo The Revenant.
Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades è un misto di sogni, nascite grottesche, sequenze danzanti splendide e una fotografia che lascia spesso incantati (la cura il candidato all’Oscar Darius Khondji) in cui la luce e il calore del sole abbagliano e avvolgono, talvolta troppo. Ma il film è anche una risposta ai detrattori di Iñárritu – come la bellissima scena sul tetto tra Silverio e il suo amico Luis –, a chi critica il suo cinema definendolo senza senso e il regista risponde a tono, dimostrando che a essere insensata è proprio la vita e i suoi film si limitano a raccontarla.
E nel mezzo il Messico, tra bellezza e sangue, terra invasa dai colonizzatori europei e poi americani, sfruttata, bistrattata e su cui Silverio ha girato il suo documentario e una perdita non ancora elaborata, una perdita a cui il regista dedica una delle sequenze più tenere dell’intera pellicola. Che cos’è, quindi, Bardo, falsa crónica de unas cuantas verdades? Un metaracconto, un pellegrinaggio che parla intimamente di chi lo ha diretto, che regala meravigliose inquadrature, ma la cui lunghezza risulta talvolta eccessiva, rischiando di perdersi in una ripetizione svantaggiosa.