Barry recensione prima stagione serie TV Sky di Alec Berg e Bill Hader con Bill Hader, Henry Winkler, Sarah Goldberg, Stephen Root e Anthony Carrigan
Scritta e diretta da Bill Hader (It – Capitolo 2) e Alec Berg, Barry è una dark comedy in otto puntate, disponibile su Sky dal 12 aprile.
La serie segue le vicende di Barry (Bill Hader), ex marine degli Stati Uniti d’America, divenuto un killer professionista. Stanco del suo lavoro e fortemente depresso, Barry cerca di cambiare vita, nonostante la contrarietà del suo mentore Fuches (Stephen Root). L’ultimo incarico lo porta a Los Angeles, sulle tracce di Ryan Madison (Tyler Jacob Moore), aspirante attore e istruttore di palestra, preso di mira dal mafioso ceceno Goran (Glenn Fleshler) e dal suo scagnozzo NoHo Hank (Anthony Carrigan) per una questione d’onore.
Deciso a rinunciare alla sua professione di killer dopo quest’ultimo incarico, Barry si ritrova, invece, a frequentare il corso di recitazione dell’attore Gene Cousineau (Henry Winkler). Che la recitazione possa essere la sua strada?
Peccato che, nel frattempo, i ceceni abbiano deciso di assumerlo come killer per regolare i conti con il clan dei boliviani di LA e la detective Moss (Paula Newsome) sia più decisa che mai a scoprire chi è il nuovo killer in città.
Tra humour e PTSD
I momenti di comicità sono affidati, soprattutto, al gruppo di malavitosi di Goran. Andando di là di ogni stereotipo sui criminali, la serie ha il pregio di mostrarli per quel che sono: macchiette e figure ridicole, vittime dei drammi esistenziali e beghe di quartiere.
Oltre ai momenti splatter, dark humour e personaggi esilaranti, Barry racconta delle difficili condizioni psicologiche dei veterani di guerra e di una generale inettitudine alla vita di cui sembra soffrire il suo protagonista. Il PTSD (Post-Traumatic Stress Disorder) è un disagio mentale che caratterizza coloro che sono esposti a traumi violenti nella loro vita. Nel caso di Barry, il suo trauma nasce dall’esperienza come marine che, una volta tornato alla vita di tutti i giorni, sembra incapace di trovare uno scopo nella sua esistenza e accetta di mettere a frutto la sua abilità di cecchino come killer professionista.
Barry è fortemente depresso ed è consapevole che la sua vita ha preso una piega inaspettata quanto indesiderata. La sua soluzione è cercare di cambiare la sua esistenza, accettando di frequentare un corso di recitazione in un ambiente nuovo, la caotica Los Angeles. Purtroppo, i legami con la sua vecchia vita continuano a emergere e a trascinarlo in un vortice di sparatorie e omicidi.
In Barry c’è una coazione a ripetere gli stessi errori e un’inettitudine che insieme alla depressione di cui soffre non gli permettono di cambiare davvero vita. Barry è vittima della sua natura tentennante, della poca autostima e dei ripensamenti continui. La decisione di smettere di uccidere non è mai così risoluta da concretizzarsi e ogni volta lo sentiamo ripetere “Questa è l’ultima, dopo smetto“. Non prova piacere nell’uccidere e il numero di morti che si lascia dietro si accumula sulla sua coscienza e pesa sempre di più.
Il metodo Cousineau
L’ambientazione losangelina e un gruppo di attori in erba con un egocentrico insegnante ci riportano alla mente Il metodo Kominsky, giunto alla terza e ultima stagione. In Barry anche la recitazione diventa una lotta per la sopravvivenza, con spietati casting, attori e attrici concentrati solo su se stessi (il personaggio di Sally, interpretato dalla bravissima Sarah Goldberg ne è un esempio) e agenti misogini e arrivisti. Eppure, vivendo una vita passiva e circondata dalla morte, la recitazione diventa per lui un nuovo scopo, un’incredibile fonte di vita e di verità. Il che è ironico, considerando che Barry non fa che mentire sempre, su chi è, sul suo lavoro, su ciò che prova.
Gene Cousineau (l’iconico Fonzie di Happy Days) è uno dei co-protagonisti della serie e fonte di momenti esilaranti. Ha scritto un libro che cerca di propinare a chiunque e in classe gli studenti lo accolgono con scrosci di applausi. Peccato che sia un attore fallito anche lui, chiamato a interpretare ruoli sconosciuti in spot televisivi o simili. Un personaggio comicamente tragico, che vede la recitazione innanzitutto come un business.
La serie bilancia perfettamente dramma e commedia e con Bill Hader a bucare lo schermo ogni volta che compare, regala otto episodi degni di nota, da gustare lentamente, fino all’esplosivo finale.