Bentu recensione film di Salvatore Mereu con Peppeddu Cuccu e Giovanni Porcu in concorso alle Giornate degli Autori di Venezia 79
Per ogni cosa c’è il suo momento,
il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
C’è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
Inizia così il terzo capito del libro di Qoelet e sembra il cartello introduttivo mancante di Bentu. Nell’entroterra sardo è il tempo del raccolto del grano ma Raffaele (Peppeddu Cuccu) aspetta che arrivi il vento per farlo come da tradizione. Sa che questo momento è scandito dalla natura e non c’è trebbiatrice che tenga a distoglierlo dall’aspettare in completa solitudine il suo arrivo.
Il tempo nuovo, dell’urgenza, gli fa visita sotto forma di Angelino (Giovanni Porcu) sollievo e spina nel fianco di un’attesa non riconosciuta come necessaria. Due tempi generazionali confliggono con pacatezza nelle campagne sarde, cercando in un caso di riaffermare il proprio spazio e nell’altro di costruirne uno. C’è un tempo, quello che passa tra potenza e atto, che certifica la distanza che separa la gioventù dalla vecchiaia.
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Con una spiccata sensazione di inerzia, Salvatore Mereu rincontra cinematograficamente la sua terra e le riflessioni esistenziali che custodisce ancora gelosamente nonostante l’assottigliarsi della memoria. Bentu è uno degli scrigni del regista sardo che finisce per trasformarsi in saggio antropologico sugli orizzonti che si avvicendano nella cornice dell’isola.
Raffaele sa che quel mondo ha dei tempi stabiliti perché sono marchiati sulla sua pelle usurata dal sole e dalla fatica, li vede andare e tornare anno dopo anno dal suo sperduto casolare. L’impazienza di Angelino è una minaccia da domare, come la vigorosa cavalla Tortorella, per rispettare la sacralità della natura. Servono testardaggine e sacrificio, ma quando il vento arriva non solleva soltanto il grano raccolto ma anche, vertiginosamente, lo spirito di chi non può più attendere.
Bentu sussurra con fermezza che non possiamo ignorare il sistema in cui siamo inseriti. Bisogna abitarlo e ascoltarlo per trovare la dimensione adatta con cui disporne, di tempi da seguire ce ne sono in abbondanza.