Blanket Wearer recensione documentario di Park Jeong-mi [RoFF19]
Il sogno di lasciarsi tutto alle spalle, lanciati verso la ricerca della felicità. E della libertà.
Chi non ha immaginato almeno una volta nella propria vita di abbandonare tutto e tutti e perdersi nel mondo, senza impegni, senza altre preoccupazioni che non siano la pura sopravvivenza?
Questa la ricerca svolta da Park Jeong-mi in Blanket Wearer, documentario presentato in anteprima alla 19° edizione della Festa del Cinema di Roma.
Trasferitasi a Londra con il permesso di soggiorno lavorativo della durata di un’estate, Jeong-mi, dopo essere stata licenziata e aver compreso che il denaro la tiene prigioniera di un sistema nel quale non si riconosce, decide di lasciarsi tutto alle spalle e imbarcarsi in una sfida: non toccare soldi per un anno intero, girovagando per il Regno Unito con una GoPro sul petto e sopravvivendo come meglio può.
Questo viaggio, in realtà, la porterà molto più lontano, spingendola a superare lo stretto della Manica per poi muoversi facendo l’autostop tra Europa e Asia, ritrovandosi tra hippie moderni e dervisci, alla ricerca di quella libertà che tanto viene paventata da tutti coloro con i quali interagisce, ma nelle cui idee e concezioni del mondo non si riconosce totalmente.
Ed è proprio questo il bello dell’opera di Jeong-mi: non vuole dare risposte alle domande che pone. Le ricerca, chiede agli altri e si riserva il diritto di poter dissentire, senza voler inculcare in tutti i modi nello spettatore la “corretta” via per relazionarsi con la propria esistenza. Solo durante alcune sequenze l’avventuroso e spesso disturbante vagabondare diventa un momento più costruito, dove i pensieri della regista si fanno forse troppo invadenti, andando a minare l’altrimenti perfetta costruzione di questo inusuale viaggio alla ricerca del proprio posto nel mondo.