Blonde recensione film di Andrew Dominik con Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby Cannavale, Xavier Samuel, Julianne Nicholson e Lily Fisher
Marilyn Monroe è la proiezione in carne e ossa del male gaze che il mondo sta cercando faticosamente di estirpare. Un concentrato di oggettivazione, pulsioni sessuali, sudditanza emotiva ottenuto con pratiche secolari e cresciuto a livello esponenziale con il trionfo del capitalismo. Per un accurato compendio si può guardare Mad Men di Matthew Weiner, ma la versione cinematografica che emerge da Blonde è altrettanto esaustiva.
Il personaggio sensuale e ammiccante, che accende l’irrazionalità di orde di uomini con un esibizionismo troppo centrato per essere soltanto naturale, rappresenta la possibilità offerta alla sconosciuta Norma Jean di riscattare un’esistenza misera e tormentata. Un humus estremamente fertile in cui piantare agevolmente violenze di ogni sorta, che alimentano in maniera angosciante la necessità di ridiscutere categoria e gerarchie applicate dalla società occidentale.
Sorprenderà forse che il regista sia Andrew Dominik, ma Blonde nasce soprattutto dal conflitto che Joyce Carol Oates ha avuto con la diva di Gli uomini preferiscono le bionde, problematizzando nel romanzo omonimo la donna oscurata in maniera ingombrante dall’icona. Il regista australiano si è assunto la responsabilità di maneggiare una vivida ossessione con un immaginario che rispondesse all’esigenza di percorrere il tratto non illuminato tra le accecanti luci dello star system e la vulnerabilità di una donna.
Ana de Armas come in trance apostrofa buona parte degli uomini che incontra nel film con l’epiteto Daddy. Se da un lato si spiega con le cupe vicende di un’infanzia difficile, più il film va avanti e Marilyn e Norma si muovono nel recinto costruito attorno a loro più è chiaro che non c’è riparo dallo sguardo mortifero del patriarcato. Cambiano le sfumature, ma il sistema non riconosce la sua stessa creazione nel momento in cui deraglia.
Homo feminae lupus a voler essere molto specifici. Il corpo di Marilyn viene azzannato in pubblico e i suoi brandelli nutrono la visione paranoica relazionale dominante, quello di Norma viene seviziato in privato lasciando sgorgare dalle ferite ferormoni che attirano nuovi e spietati predatori. Si pensa sempre che la morte sia, in situazioni drammatiche, il raggiungimento di una serenità non concessa durante la vita terrena. “Che almeno la terra ti sia lieve”, amano autoassolversi così quelli che non sono in grado di intervenire sul contingente. Hugh Hefner ha acquistato per 75mila dollari, presso il Westwood Village Memorial Park di Los Angeles, il loculo alla sinistra della star hollywoodiana in cui riposa dal 2017.
Blonde è esattamente questo: il racconto del fiato sul collo e delle tossiche secrezioni maschili che una donna affronta per tutta la vita in un mondo che la identifica come approvvigionamento di un desiderio altrui. Marilyn e Norma prestano la loro esperienza, non la loro biografia, per squarciare lo status quo e riaffermare se stesse davanti a chi deve guarire dal proprio cannibalismo.
In bocca al lupo a tutti.