Boiling Point – Il disastro è servito recensione film di Philip Barantini con Stephen Graham, Jason Flemyng, Vinette Robinson, Ray Panthaki e Alice Feetham
Il cibo e la cucina, negli ultimi anni, hanno saputo polarizzare l’attenzione del mercato dell’intrattenimento audiovisivo, con continui programmi che ritraggono professionisti di quel settore intenti a preparare piatti visivamente incredibili o a giudicare aspiranti chef. Complice l’amore per la cucina o la diffusione capillare di programmi talent a tema alimentare, quello che spesso viene trasmesso è un’idea talvolta idilliaca della professione di chef, o comunque di tutto ciò che gravita intorno al mondo dei ristoranti.
Molte volte, però, la realtà che si cela dietro a queste produzioni è assai meno romantica.
Le storie che hanno saputo trattare la tematica del ‘lato oscuro’ della cucina di certo non mancano (l’esempio più recente è la serie targata FX approdata su Disney+, The Bear), ma quello che il regista Philip Barantini mette in scena con Boiling Point è un’esperienza assolutamente immersiva negli orrori del ‘dietro le quinte’ di un prestigioso ristorante londinese.
La cura dei dettagli, i camerieri eleganti, i piatti raffinati e deliziosi, sono solamente il prodotto finale di un meccanismo ben più ‘sporco’ che si cela tra i coltelli di una cucina, con dinamiche spaventosamente simili ai comportamenti del temutissimo chef Gordon Ramsey nel fortunato reality Hell’s Kitchen.
In primo luogo, quello che cattura l’attenzione è la realizzazione tecnica del progetto: la pellicola si presenta come un lunghissimo piano sequenza di 90 minuti (realizzato senza tagli fantasma alla Birdman o 1917, per fare due esempi recenti) che accompagna tutti i personaggi durante una serata di servizio, che inizia come un normale turno di lavoro ma si rivelerà un vero incubo.
La macchina da presa segue costantemente e senza stacchi tutti i dipendenti del ristorante, passando per la cucina, il bar, i tavoli dei clienti e i locali privati dello staff. Nonostante l’assenza di un montaggio sincopato, la macchina da presa restituisce perfettamente la sensazione di urgenza e di frenesia legate al carico di lavoro al quale vengono sottoposti i protagonisti; l’interazione tra i personaggi spesso sfocia in battute cariche di rabbia e pathos. L’effetto che ne deriva è un dramma con forti tinte thriller.
Molto interessante la dicotomia che si crea tra il tranquillo e raffinato ambiente della sala, dove i clienti possono assaggiare i raffinati piatti proposti dallo chef e sorseggiare le proposte (alcoliche e non) del bar, e il caotico e schizofrenico ritratto della cucina, dove ogni cosa deve essere fatta bene e velocemente.
Nonostante ad ogni personaggio vengano affidate poche linee di dialogo, ognuno presenta una caratterizzazione convincente, perfettamente coerente con il proprio arco narrativo all’interno della notte in cui è ambientata la vicenda.
Al pari della messa in scena, a polarizzare l’attenzione è la magistrale interpretazione da parte di Stephen Graham di Andy, un talentuoso chef che si avvicina pericolosamente al punto di rottura: l’evocativo titolo originale del film allude all’escalation di eventi che porteranno il protagonista al suo Boiling Point. Fin dal principio del film Andy è frustrato, rammaricato per una relazione disfunzionale con il figlio; le sue preoccupazioni inevitabilmente si riflettono a cascata sui suoi sottoposti, mescolandosi con gli atteggiamenti e problemi di colleghi (quali la capo-chef Vinette Robinson e la maître di sala Alice Feetham) e clienti (tra i quali Jason Flemyng nel ruolo di uno dei cuochi televisivi ai quali accennavamo sopra), fino a degenerare in un finale al cardiopalma.
Boiling Point è un’esperienza da brivido, da gustare assolutamente nella magia della sala cinematografica. La scelta di utilizzare un unico take permette allo spettatore di immergersi totalmente negli eventi e di restituire la sensazione di agitazione ed irrequietezza che imperversano nella cucina di un ristorante di prestigio.