Boys recensione film di Davide Ferrario con Neri Marcorè, Giorgio Tirabassi, Giovanni Storti, Marco Paolini, Linda Messerklinger e Isabel Russinova
La musica dà, la musica toglie. Joe (Marco Paolini), Carlo (Giovanni Storti), Bobo (Giorgio Tirabassi) e Giacomo (Neri Marcorè) hanno conosciuto il successo negli anni ’70 esibendosi come i The Boys e diventando una band di culto per gli amanti del rock. Insieme a loro c’erano anche Luca e Anita (Isabel Russinova), ma la morte del primo e la scomparsa della seconda, hanno fatto presto spegnere le luci della ribalta.
Suonare si è trasformato in rito da ripetere per esorcizzare il passare del tempo una volta a settimana, come il calcetto. Il passato, però, è sempre lì dietro l’angolo e un fenomeno della trap decide di realizzare una cover di una hit, riaccendendo antichi fuochi e portando a galla questioni in sospeso che potranno essere risolte solo con un viaggio a Capracotta (!).
Rileggendo questo abbozzo di trama, si sente già odore di stantio. Una storia fuori tempo massimo, piena di nostalgia poco sana per un tempo lontano, punta con decisione ad un pubblico over 50 per cercare di raccontare in maniera brillante cosa voglia dire essere vecchi. Ci sono la prostata, il divorzio, le bollette da pagare, i posti in cui il telefono non prende, il Westfalia della Volkswagen e tanti giubbotti di pelle. Decisamente troppo. E non basta avere dei bravi attori per reggere un impianto vecchio e arrugginito. La verve comica dei Boys è imbrigliata dall’esasperazione di un’idea non originale ma onesta per raccontarci banalmente la vecchiaia.
È un po’ come essere tornati in classe, con quel professore matusa troppo avanti con gli anni ma ancora non pronto per la pensione. Un luminare, di sicuro, ma senza più il polso della gioventù a cui dovrebbe trasmettere delle conoscenze. Potrà conoscere a menadito il dramma di Antigone o il moto armonico, ma servirà a ben poco se davanti a lui ci saranno teste perse nell’ultimo singolo di JD, il fenomeno del momento. Il discorso cinematografico di Boys, allo stesso modo, va reso credibile e interessante senza ricorrere a delle inquadrature sghembe puramente ornamentali.
Non si può parlare di un film non riuscito, ma di un’operazione commissionata a Davide Ferrario di cui non è chiara la necessità e ancor meno l’obiettivo. Non è una commedia, non è un film drammatico, la colonna sonora originale di Mauro Pagani è costituita da una serie di dialoghi mancati, espunti dalla sceneggiatura e musicati. Non è tempo per loro, ma nemmeno per noi.