Bullet Train recensione film di David Leitch con Brad Pitt, Sandra Bullock, Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Brian Tyree Henry e Zazie Beetz
Arriva nelle sale italiane Bullet Train, il nuovo film di David Leitch (Deadpool 2, Fast & Furious – Hobbs & Shaw), adattamento del romanzo I sette killer dello Shinkansen di Kōtarō Isaka. Si tratta di un thriller pulp e adrenalinico, ambientato nel Giappone di oggi. Il protagonista è Ladybug (Brad Pitt), un killer professionista appena tornato a lavoro dopo un lungo periodo di analisi e meditazione. La sua missione consiste nel recuperare una valigetta che si trova a bordo di uno dei cosiddetti treni proiettili giapponesi: un lavoro semplice e senza spargimenti di sangue, almeno sulla carta. Una volta sul treno, però, scoprirà che anche altri assassini hanno lo stesso obiettivo.
David Leitch, ex stuntman e co-creatore di John Wick, va dritto come un treno e confeziona una pellicola di pura azione e intrattenimento, priva di qualsiasi sottotesto. In poco più di due ore inanella una serie di battute, colluttazioni, tentati omicidi e colpi di scena sempre più esagerati. La pellicola è divisa in capitoli scanditi dalla comparsa dei vari personaggi, tutti interpretati da star Hollywoodiane. Tra questi, i due fratelli britannici Tangerine (Aaron Taylor-Johnson) e Lemon (Brian Tyree Henry), molto legati nonostante i continui bisticci sui propri nomi in codice e su Il trenino Thomas, che danno vita ad un umorismo spesso nonsense a tratti ripetitivo. Ci sono poi il piccolo criminale Kimura (Andrew Koji), in cerca di vendetta contro gli attentatori di suo figlio, l’esperta di veleni The Hornet (Zazie Beetz) in un ruolo breve ma intenso e Prince (Joey King), la figlia di un noto killer camuffata da scolaretta indifesa. Sul finale c’è anche spazio per il temuto boss della malavita giapponese noto come White Death (Michael Shannon) e per la sua squadra di sicari.
Leitch si ispira al cinema pulp degli anni ‘90, principalmente a quello di Guy Ritchie e Quentin Tarantino, però sa di non poterne replicare la brillantezza. Di conseguenza, insieme al quasi esordiente sceneggiatore Zak Olkewicz, sceglie di virare verso una giocosità di fondo che invita il pubblico a non prendere troppo sul serio ciò che sta vedendo. Brad Pitt si mette completamente al servizio dell’amico (Leitch è stato per anni la sua controfigura) e dell’atmosfera generale, nascondendosi dietro un’interpretazione divertita e rilassata. Il suo Ladybug medita di abbandonare la professione, stanco della scia di morti più o meno casuali che si lascia dietro ad ogni incarico, e ripete di continuo i motti pacifisti del suo terapista.
Punti di forza della pellicola sono i coloratissimi costumi e tutto il reparto action: ogni coreografia o esplosione è estremamente curata ed elaborata, merito della lunga gavetta del regista nel mondo degli stunt. Ciò che funziona meno è proprio la scelta di un cast occidentale (anche se molto eterogeneo) per una storia chiaramente pensata per corpi giapponesi. Al di là della sottotrama di Kimura e di qualche accenno alla pop culture locale (come le mascotte che si scorgono qui e là sul treno), di orientale nel film c’è ben poco.
I numerosi flashback utilizzati per la presentazione dei personaggi (in pieno stile narrativo giapponese) aiutano a mantenere alto il ritmo ma peccano di scarsa originalità e sovrastano lo spettatore. Soprattutto perché tutti i personaggi sono fondamentalmente poco più che macchiette, dei semplici veicoli dell’azione. La scrittura è piuttosto contorta e in generale abbastanza piatta, soprattutto nei dialoghi, salvo rare occasioni. Per questi motivi, chi ama l’azione si divertirà sicuramente, mentre chi cerca qualcosa in più resterà inevitabilmente deluso. In definitiva, Bullet Train è un’opera decente nel suo genere, che concede allo spettatore qualche sorpresa ma alla lunga scade nel prolisso e nel già visto.