Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe recensione del film d’animazione di Salvador Simó presentato in anteprima a Visioni Fantastiche 2020
Il surrealismo è una corrente artistica che ha fatto discutere e che viene riproposta fino ai giorni odierni per ricordare un movimento che è stato cruciale nel ventesimo secolo. Se Salvador Dalì è l’artista che viene più ricordato e omaggiato nella pittura, con il regista e sceneggiatore Luis Buñuel abbiamo un altro pioniere del surrealismo che ci viene raccontato attraverso il lungometraggio animato Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe, presentato in anteprima a Visioni Fantastiche 2020 e fuori concorso.
Dopo aver realizzato L’âge d’or, Luis Buñuel viene allontanato da tutti i possibili investitori per via dello scandalo e delle controversie innescate dal lungometraggio. In cerca d’ispirazione, Buñuel ha modo di confrontarsi con l’antropologo Maurice Legendre che gli racconta di Las Hurdes, una delle zone più povere della Spagna. Luis quindi decide di dirigere un documentario su questo piccolo paese, ma non riesce a trovare investitori. L’anarchico artista e amico Ramón Acín, grazie ad una vincita alla lotteria, finanzia il progetto che porta i due amici e la troupe in un viaggio importante che si conclude nel 1932 con la realizzazione del documentario Terra senza pane.
Diretto da Salvador Simó, Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe è un lungometraggio animato biografico, realizzato in 2D, che ci offre momenti di visionaria poesia surrealista accostati a sequenze d’immagini reali tratte appunto dal documentario Terra senza pane.
L’opera mira soprattutto a darci una visione molto intima di Buñuel, dei suoi incubi e delle sue visioni, in cui si denotano un senso di ricerca di approvazione verso il padre e di inadeguatezza, e la rivalità con l’amico e collega Dalì. Simò ci mostra un uomo in cerca della sua rivalsa per non farsi oscurare dalla figura di Dalì, e per questo si dimentica il motivo stesso del perché volesse realizzare il documentario, trovandosi a inscenare la morte uccidendo egli stesso alcuni animali.
Salvador Simó mette in scena un viaggio personale dell’artista, che si trova davanti a un mondo che sta profondamente cambiando con l’ascesa del fascismo a cui l’alta borghesia sembra interessata, mentre si dimentica degli ultimi, degli affamati e dell’estrema povertà che esiste in alcune zone d’Europa. Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe è un film che emoziona, incuriosisce e trascina, lo spettatore si ritrova a vedere il mondo attraverso gli occhi di Buñuel, a conoscere una realtà passata che in parte sta finendo nel dimenticatoio del nostro sapere e ci mostra l’altra faccia del surrealismo, cioè non solo quella che mira a scandalizzare e fare scena, ma soprattutto quello di raccontare un contesto scomodo che in molti non vorrebbero vedere.
Il lungometraggio di Simò è ispirato al romanzo grafico Buñuel en el laberinto de las tortugas di Fermín Solís e non si presenta come un film adatto ai più piccoli, diverse sono infatti le scene forti e grottesche sia animate che estrapolate da Terra senza pane. L’arte umana e significativa di Buñuel mira a staccarsi dall’alta borghesia e scende in strada fra la gente più povera in un labirinto in cui le rocce sembrano formare il guscio di una tartaruga, dove al suo interno ci sono spettri dimenticati, lasciati a morire e a cui nessuno dà importanza, ricordandoci che, se non riesce a comunicare qualcosa di potente, la stessa arte ha fallito nel suo intento.