Campo di Battaglia recensione film di Gianni Amelio con Alessandro Borghi, Gabriel Montesi e Federica Rosellini [Venezia 81]
In concorso all’81° Festival Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Campo di battaglia è l’ultima pellicola del regista italiano Gianni Amelio, presenza costante quanto apprezzata durante la kermesse veneziana (due anni fa aveva presentato, sempre in concorso, Il Signore delle Formiche).
Tratto dal romanzo “La sfida” di Carlo Patriarca non è un film di guerra ma SULLA guerra. La distinzione è doverosa quanto preziosa in quanto definisce il grande lavoro compiuto dal regista per raccontare una storia che è stata a lungo messa a tacere oppure della quale non si è semplicemente mai parlato abbastanza.
Ospedale Militare, Trentino Alto Adige, 1918. Alessandro Borghi e Gabriel Montesi rivestono i panni di due medici di guerra che curano e assistono i soldati reduci dai bombardamenti e dalle trincee nel periodo conclusivo della Prima Guerra Mondiale.
I due sono amici d’infanzia e hanno studiato nella stessa università ma non potrebbero essere più diversi e con due visioni estremamente opposte del loro dovere medico. L’inclinazione compassionevole del Dott. Zorzi (Alessandro Borghi) e la rigida etica militare del Dott. Farrasi (Gabriel Montesi) saranno gli elementi narrativi che determineranno il corso degli avvenimenti. Come se non bastasse, i due sono entrambi innamorati dell’infermiera Anna (Federica Rosellini) che lavora nello stesso ospedale militare e che rappresenta il classico stereotipo di donna intelligente e dotata ma non riconosciuta.
Questa cornice relazionale fa da sfondo a un racconto di sofferenza e resilienza incentrato sulla condizione dei soldati che, feriti e menomati, attendono il proprio destino nella speranza che la loro malattia sia la chiave per poter finalmente fare ritorno a casa dai propri cari. Tutto cambia quando si scopre che all’interno dell’ospedale esiste un dottore che, pur di evitare ai soldati di rientrare al fronte andando incontro a morte certa, è pronto a procurare loro ferite permanenti che li renderanno definitivamente liberi dall’orrore della guerra.
La seconda parte del film si concentra invece sul dramma pandemico della spagnola vissuto attraverso la lente privilegiata dei protagonisti del racconto, che mise in ginocchio l’Italia e Europa del dopoguerra mietendo milioni di vittime.
Gianni Amelio e i suoi sceneggiatori tessono una tela narrativa minimalista dove i dialoghi dei personaggi sono perlopiù sussurrati e ridotti a un soffio per lasciare spazio al “non detto”, agli sguardi, agli abbracci e ai legami che si instaurano tra loro nel mezzo dello scenario più crudele e disumano che possa esistere.
Questo tessuto, per quanto abilmente diretto e sapientemente sceneggiato, risente però di una crepa narrativa che tende a dare la sensazione di assistere alla proiezione di due pellicole in una, rinunciando in parte ad uno storytelling fluido e progressivo.
Uno dei punti di forza del film è la prova attoriale dei due protagonisti, Borghi e Montesi, perfettamente centrati e sempre arricchenti nei confronti dei rispettivi ruoli.
Grazie a inquadrature che prediligono carrellate panoramiche, piccoli piani sequenza e l’uso della camera a mano, il regista accompagna lo spettatore all’interno di una storia di speranza, compassione e verità inesauribile che merita la visione sul grande schermo.
Campo di battaglia è un film coraggioso che dimostra come sia possibile realizzare un film di guerra capace di esplorare in profondità tutte le sottotrame generate dal conflitto. Senza rinunciare a un’estetica raffinata e curata nei dettagli, il film trasporta lo spettatore ai primi anni del ‘900, offrendo un’esperienza visiva e narrativa coinvolgente.