Caracas recensione film di Marco D’Amore con Toni Servillo, Marco D’Amore e Lina Camélia Lumbroso [Anteprima]
Napoli Ferrovia di Ermanno Rea è la fonte d’ispirazione per Caracas, il nuovo lungometraggio diretto e interpretato da Marco d’Amore, già noto tanto come attore che come regista in Gomorra. Grazie proprio a Gomorra era poi approdato al cinema con L’immortale, spin-off della fortunata serie e con Napoli Magica, un documentario drammatico dedicato al capoluogo partenopeo.
Con Caracas torna in sala, trattando ancora una volta un soggetto che racconta la città alla quale è tanto affezionato.
Giordano Fonte (Tony Servillo), rinomato scrittore di origini napoletane, torna nella sua città a seguito di una lunga assenza. Qui incontra Caracas (Marco d’Amore), suo vecchio amico, un uomo dalla convinta ideologia fascista che, improvvisamente, si converte all’islam. Seguiamo quindi il viaggio di Giordano alla scoperta di una figura ambigua e difficilmente comprensibile, contemporaneamente a quello di Caracas verso un futuro incerto e alla ricerca della sua stessa affermazione.
Quello che si apre come un film intento a denunciare i pregiudizi, la violenza e a promuovere il pacifismo, si rivela con il tempo essere molto di più. Lentamente (e anche improvvisamente) la narrazione muta e si permea di un onirismo che dona al racconto una dimensione misteriosa e di tensione.
Realtà e sogno collidono, entrano in contrasto e si fondono. L’inizio è la fine come la fine è l’inizio. Il punto di partenza si fa via via più indefinito, così come la conclusione. Cosa è reale e cosa no, cosa viene prima e cosa viene dopo, niente può darsi per certo.
Ciò che resta e impatta in una narrazione discontinua e dai tratti machiavellici sono la regia e la fotografia del film, particolarmente azzeccate entrambe, la seconda in particolare.
I colori mutano da una scena all’altra: da caldi diventano freddi, poi si tingono di rosso. L’illuminazione conferisce il giusto peso ai momenti di terrore, alternando bui inquietanti e luci più accese. La macchina da presa segue spesso i personaggi con un movimento quasi neorealistico, alla scoperta della realtà e di tutti i comprimari, in un certo senso alla scoperta di una storia che si sta rivelando. Il montaggio accelera e diventa più invasivo quando necessario, per concitare l’azione o, soprattutto, per rendere sullo schermo la confusione che alberga nella mente dei personaggi.
Questa è la grande potenza di Caracas: la straordinaria genuinità con cui ci fa immergere nei protagonisti, condividendo e trasmettendo il loro stato d’animo, la loro inquietudine, il loro spaesamento, le loro paure e angosce.
La Napoli rappresentata è perfetta, culla di una contraddizione eterna tra dolcezza e violenza, tra libertà e paura.
In questa forte ispirazione di stampo lynchiano, come ammesso dal regista stesso, manca però qualcosa, forse una delle componenti più cruciali: Caracas. Giordano interpreta appieno il ruolo del protagonista, ma lo stesso non si può dire per Caracas.
Un po’ un peccato non aver avuto modo di esplorare appieno quest’uomo combattuto tra la violenza e la quiete, il cui profondo mutamento ideologico e spirituale avviene in maniera troppo sbrigativa.
Nonostante ciò, il risultato è indubbiamente di pregevole fattura, specialmente se contestualizzato nel panorama cinematografico italiano, spesso erroneamente definito “inferiore”, ma in realtà capace di produrre pellicole originali e intrise di un’autorialità che ha tutte le carte in regola per attecchire sul pubblico.