C’è ancora domani recensione film di Paola Cortellesi con Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni, Francesco Centorame e Giorgio Colangeli [RoFF18]
Perché il quartiere Testaccio ritratto in C’è ancora domani è in bianco e nero?
Siamo nell’Italia che si barcamena tra le rovine generate dalla seconda guerra mondiale, provando faticosamente a rialzarsi.
Paola Cortellesi, al debutto come regista, avrebbe potuto scegliere il colore portato dalla liberazione dal fascismo ma il punto di vista della sua storia è quello di chi è in attesa della fine di un’altra prigionia, più antica e subdola. Non c’è altra cromia possibile per raccontare, attraverso la protagonista Delia (interpretata dalla stessa Cortellesi), la segregazione delle donne nella società composta da uomini come Ivano (Valerio Mastandrea).
Non si tratta, ancora, di parità di genere e equo compenso – su cui procede a singhiozzi la società contemporanea – ma di acquisire un peso ed un ruolo sociale diverso da quello della sempiterna madre.
C’è ancora domani vuole raccontare i soprusi, le limitazioni e i lividi che milioni di donne hanno dovuto incassare per non soccombere alla cieca violenza dei pater familias. È una storia semplice ma potente, che invoca la brillantezza della commedia all’italiana per riflettere con il sorriso sul contesto drammatico in cui l’Italia sancì poi il diritto al suffragio universale.
Se sul piano della scrittura ogni tanto l’equilibrio tra tragedia e commedia sbanda, la fotografia rimane solida a compensare i passi falsi all’interno di un campo minato. Le percosse, fisiche e psicologiche, di Ivano nei confronti di Delia possono trasformarsi in un passo a due coreografato sulle note di Nessuno di Mina – nella versione di Musica Nuda – come a mostrare le favolette necessarie per rimanere ancorati alla realtà.
Restare o fuggire, prima con l’immaginazione e poi con una borsa riempita dello stretto indispensabile. C’è il treno di Nino il meccanico (Vinicio Marchioni). Una seconda chance su cui puntare soldi ed energie rimaste per cambiare hic et nunc, ma c’è soprattutto il treno della Storia da prendere per imprimere un netto cambio di passo.
La Cortellesi sceneggiatrice semina in profondità, innaffia copiosamente la storia cogliendone il frutto quando tutto sembra sul punto di essere perduto definitivamente. È come una rivisitazione del MacGuffin di Hitchcock, che attraversa il film con una misteriosa lettera e aspetta il suo momento per rivelare qualcosa che ci era già stata bisbigliata in partenza.
I sussurri, i capi chini e gli sguardi sommessi, sono le ultime gocce che C’è ancora domani osserva colare nel vaso prima dell’esondazione.
Lo fa con la delicatezza e le sbavature che sono quelle di qualcuno che è troppo innamorato per mantenere la giusta distanza, ma senza retrocedere davanti al pericolo. Prende lo spettatore, lo abbraccia, lo fa sfogare e poi lo colpisce di rimando con i dividendi maturati dalle donne da tempo immemore.
Ne viene fuori un mancino micidiale, altro che lo schiaffo che aspetta Delia ogni mattina appena sveglia. Un colpo in cui tutte hanno messo e continueranno a mettere le proprie miserie per far sì che il domani cominci davvero.