Cena con delitto – Knives Out recensione del film di Rian Johnson con Daniel Craig, Jamie Lee Curtis, Ana De Armas, Chris Evans, Katherine Langford, Michael Shannon, Christopher Plummer e Don Johnson
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Se la battuta di Robin Williams non accende nessuna lampadina, probabilmente negli anni ’90 non avete avuto a che fare con il Jumanji di Joe Johnston e con Cluedo, il gioco da tavola cult per piccoli e grandi investigatori amatoriali. L’obiettivo del gioco è ricostruire le dinamiche di un misterioso assassinio avvenuto in una cupa magione nobiliare, individuando autore, arma e luogo del delitto procedendo per deduzione in base agli elementi man mano accumulati.
La passione dell’uomo per i misteri da risolvere è cosa nota, tanto da poter ritenere il giallo un filone sterminato e mai passato di moda. Con il passare del tempo, anzi, le regole del genere si sono naturalmente adattate ai cambiamenti della società, trovando di volta in volta figure, ambienti e situazioni esemplificative di momenti storici. Probabilmente, infatti, ogni nazione ha un investigatore letterario, televisivo e cinematografico di riferimento per ogni occasione (la lista è lunghissima ma giusto per fare due nomi in ordine cronologico sparso Jessica Fletcher, Nero Wolfe, Sherlock Holmes, Coliandro, Hercule Poirot, Dylan Dog, Gregory House, etc) perché il circuito mistero-indagine-soluzione è una delle corsie preferenziali per una moderna catarsi.
Cena con delitto – Knives Out non cerca di sfuggire alla macchina perfetta del giallo quanto di inondarlo con linfa nuova soltanto per oliare un po’ i meccanismi. Il lavoro di Rian Johnson in tal senso è estremamente accurato e probabilmente da rintracciare più a monte che forse sul girato. La composizione del cast, un brillante lavoro di scrittura e un’attenta selezione dei temi collaterali da saldare all’indagine che rappresenta la spina dorsale del film costituiscono la garanzia di un film estremamente piacevole da guardare e con cui letteralmente giocare in maniera intelligente, proprio come nel Cluedo*.
Se infatti lo stesso film non ha paura di rivelare senza troppa suspense le esatte circostanze della morte dello scrittore Harlan Thrombey, interpretato dall’azzeccatissimo Christopher Plummer, è perché il caso che regia e sceneggiatura vogliono far risolvere al pubblico riguarda le dinamiche di una famiglia disfunzionale molto vicine alle nevrosi e alle abitudini della società contemporanea, dove tutto corrisponde al contrario di tutto e nulla è più scontato.
A conti fatti il regista di Brick e Gli ultimi Jedi ha messo su il suo piccolo e ben confezionato Game of Thrones in versione cinema da camera per ingolosire e stuzzicare anche il più attento e perspicace degli spettatori a tenere la guardia, e i coltelli, sempre alti.
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