Ciclo recensione film di Ian Sbf con Felipe Abib, Flavio Bauraqui, Daniel Furlan e Stephanie Lourenço
Ciclo è un film del 2023 firmato dal regista brasiliano Ian Sbf e distribuito dalla Blue Swan.
A seguito di una pandemia che sembra aver reso impossibile la vita in superficie, Antonio (Felipe Abib) vive in un bunker sotterraneo. Insieme agli altri superstiti si adegua a regole rigide e ad un tempo scandito da “cicli”.
Il tempo per il sonno è così breve da impedire il raggiungimento della fase Rem. In pratica, è impossibile sognare. L’incontro con Diego (Daniel Furlan) porterà Antonio a mettere in dubbio la validità delle regole imposte e ad indagare fino ad essere sommerso da una cascata di scomode verità.
il cervello cerca di colmare la mancanza di informazioni inventandosi cose che non esistono, così cominciano le allucinazioni
“Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà”, scriveva Shirley Jackson nel lontano 1959. Una frase che sembra calzare a pennello per questa storia.
La condizione di “assoluta realtà” (dovuta alla reclusione e all’impossibilità di sognare) trascina i personaggi in una spirale di pazzia, dove l’istinto di sopravvivenza è l’unica guida.
qui nessuno ha il tempo di sognare
Il film ha dalla sua un concept valido: l’idea di portare la crisi pandemica fino a un punto così estremo è affascinante. Lo stile – sia nelle riprese che nella caratterizzazione degli ambienti – è particolare, nell’accezione migliore del termine.
Tuttavia lo svolgimento della pellicola non rende giustizia alle buone premesse dell’incipit che, andando avanti, finiranno per sciogliersi come neve al sole.
A dare un quadro generale della vicenda ci pensa la – spesso invadente – voce fuoricampo del protagonista, che dispensa manciate di informazioni a volte troppo dense da digerire. Inoltre non aggiunge granché a ciò che si può evincere dalle immagini e non crea empatia verso il protagonista.
Venendo poi all’aspetto politico, il film lancia stoccate talmente deboli e generiche che – se si trattasse di scherma – nemmeno farebbero accendere il bersaglio elettronico. Viene a malapena scalfita la superfice del rapporto tra politica e pandemia: vi si accenna ma non si analizza davvero il tema.
Un obiettivo sempre incollato al protagonista, luci tendenti al rosso o all’arancione e inquadrature dal basso verso l’alto infondono un intenzionale senso di claustrofobia. Desidereremo uscire a riveder le stelle fuori dal bunker, tanto quanto i personaggi del film.
Elementi che funzionano quindi ci sono, specialmente sul fronte tecnico, ma non prendono la giusta rotta. Come un’orchestra dotata di qualche abile strumentista, ma non di un direttore all’altezza.