Citizen K recensione film di Yves Montmayeur con Takeshi Kitano, Michel Temman, Kishimoto Kayoko, Yanagijima Katsumi e Koike Yuriko
Nel presentare il suo documentario, Citizen K, Yves Montmayeur racconta della prima volta in cui, anni fa, ha incontrato il regista: un momento che ricorda ancora con molta emozione e affetto.
“È cominciato tutto quando al Festival di Cannes ho visto per la prima volta Sonatine, il film è stato per me una tale rivelazione che mi ha spinto ad indagare di più sull’autore. Quando sono andato a vedere il film ho avuto la possibilità di incontrare di persona Takeshi Kitano insieme a due miei colleghi giornalisti. Eravamo rimasti tutti molto colpiti dal film e abbiamo deciso di dirglielo, ma, nel sentire le nostre parole, il regista si è commosso. Per me è stato strano vedere così emozionato un personaggio tanto imponente, con un fare un po’ da “yakuza”, non mi aspettavo potesse mostrare un suo aspetto più “bambino”, è stato un momento pieno di tenerezza. È da qui che parte la mia indagine su Kitano.”
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Dal primo incontro, carico di emozione, si sono susseguite molte altre occasioni in cui Montmayeur ha potuto scoprire altri lati del personaggio Kitano, andando oltre il classico personaggio pubblico, il Kitano comico che la televisione giapponese ha conosciuto per anni ma anche il Kitano-yakuza, che il Giappone non ha saputo apprezzare e valorizzare in un primo momento.
“Dopo questo episodio, dopo questo primo incontro, ho avuto numerose occasioni di intervistare e parlare con il signor Kitano e siamo rimasti in contatto. Addirittura sono stato invitato in Giappone e, nonostante lo scorrere del tempo, nel corso degli anni tutte le volte che ci siamo ritrovati, mi sono sempre ricordato di quel momento in cui ho visto come quest’uomo recepisse le insicurezze del suo popolo, non abituato ai suoi film. Con il passare del tempo mi sono reso conto di quanto fosse stato toccato dal commento mio e dei colleghi giornalisti, che a distanza di migliaia di chilometri avevamo apprezzato il suo lavoro, cosa che non era successa nel suo stesso Paese. Ho sempre interagito con Kitano tenendo a mente questa immagine, ovvero quella di una persona che non ha paura di mostrare la sua sensibilità nonostante non sia proprio parte della cultura giapponese farlo.”
Il documentario ripercorre, infatti, le principali tappe della vita di Kitano, partendo dagli esordi nei cabaret di Tokyo, fino ad arrivare alla sua attività di regista, che lo tiene occupato ancora al giorno d’oggi (la sua ultima opera è attualmente in fase di montaggio). Montmayeur riesce a mettere bene in evidenza il grande abisso che separa il pubblico giapponese dal resto del pubblico internazionale: uno dei principali punti su cui si concentra la sua analisi è la ricezione dei lavori più impegnati di Kitano, stagione di film inaugurata nel 1989 da Violent Cop in veste di regista e, ancora prima in veste di attore, quando nel 1983 ha interpretato il ruolo del sergente Gengo Hara in Furyo (Merry Christmas, Mr. Lawrence). Come Kitano stesso racconta, andare a vedere in un cinema di Tokyo la reazione del pubblico alla sua apparizione in Furyo è stato un momento di grande shock e di presa di coscienza: nonostante il ruolo fosse molto serio – e per molti versi anche drammatico – il pubblico del cinema, abituato a vederlo ancora come Beat Takeshi, il comico dalla battuta sempre pronta, è scoppiato a ridere vedendolo nel film, ignorando completamente il contesto e l’ambientazione della storia, che si svolge durante la Seconda Guerra Mondiale in un campo di prigionia giapponese.
Il montaggio della pellicola segue i ritmi della carriera del Maestro: gli esordi rocamboleschi sono accompagnati da musica beat e allegra, mentre, le cronache degli yakuza movie vedono la narrazione rallentarsi e dilatarsi, proprio come aveva deciso di “fermarsi” per un attimo il regista, che ha realizzato questi film negli anni della maturità. Il tema del dinamismo è molto caro a Montmayeur, che si rifiuta categoricamente di realizzare un documentario “statico” in cui i principali soggetti, a sedere davanti alla cinepresa, espongono la loro vita. Kitano è sempre in movimento, non si riposa un attimo, cammina per la sua casa di Tokyo mostrandoci, oltre a stralci del suo passato, anche altri progetti artistici, da sculture a dipinti (molti di essi confluiti ed esposti poi in una mostra realizzata a Parigi dal titolo Beat Takeshi). I dipinti che Kitano esibisce alla cinepresa sono pieni di colori e molto vivi, dichiara che ancora cerca di disegnare come un bambino, sempre ascoltando il lato più sensibile e profondo che, nonostante l’avanzare degli anni, sempre dimora nel profondo dell’animo di ognuno di noi.