Civil War recensione film di Alex Garland con Kirsten Dunst, Wagner Moura, Cailee Spaeny, Jesse Plemons e Nick Offerman [Anteprima]
Civil War rappresenta uno spartiacque per la A24, casa di produzione da sempre conosciuta per realizzare film con budget limitati. Stavolta cerca di alzare il tiro puntando a una produzione da 50 milioni di dollari. Un record se si pensa che un budget come quello di Beau ha paura (35 milioni) era già stato etichettato come dispendioso per gli standard dello studio.
Pur aumentando le spese la A24 dimostra di non voler rinunciare ai propri intenti autoriali, da sempre presenti nelle proprie opere. In questo caso il presupposto del film è dato dall’ipotesi dello scoppio di una nuova Guerra Civile sul territorio statunitense. Alla regia troviamo Alex Garland, già apprezzato per film come Ex Machina o Men.
Nel portare in scena questo spinoso soggetto il regista rinuncia alla spettacolarizzazione del conflitto a favore di un punto di vista che potremmo definire più “terreno”. I protagonisti infatti non sono soldati eroici, tipici del cinema di guerra americano, ma un piccolo gruppo di giornalisti, guidato dalla famosa fotoreporter Lee (Kirsten Dunst), in viaggio verso Washington DC per ottenere un’ultima intervista dal presidente (Nick Offerman) prima che il sanguinoso conflitto arrivi alla fine.
Garland costruisce così una riflessione su cosa significhi documentare la guerra e fino a che punto la legittimità dell’informazione possa spingersi prima di sfociare in un’ossessiva ricerca dell’immagine perfetta a scapito dell’empatia umana. Un ottimo spunto abilmente portato sullo schermo grazie alla capacità di saper gestire le scene di conflitto.
Il lato spettacolare non tocca mai i picchi delle più costose produzioni hollywoodiane – parliamo pur sempre di “appena” 50 milioni di budget, ben sotto la media dei blockbuster moderni – ma Garland dimostra una padronanza della macchina da presa in grado di restituire un’atmosfera di guerriglia perenne e mantenere alta la tensione.
Sfortunatamente Civil War presenta, a fronte di questi pregi, un rovescio della medaglia non indifferente: si concentra ben poco sulle potenzialità messe in campo dal proprio stesso titolo. Il fatto di ruotare attorno a una Guerra Civile in USA appare come un pretesto accessorio e poco permeante nell’economia del film.
Nel corso della narrazione riceviamo costantemente stimoli atti a ricordarci che stavolta gli americani non sono eroici salvatori di una qualche terra straniera in balia di una dittatura brutta e cattiva. Stavolta gli statunitensi sono o totalmente incapaci di affrontare l’emergenza che stanno vivendo o estremisti da sconfiggere. Garland rappresenta un paese lacerato e diviso internamente, in netto contrasto con l’immagine di nazione unita che spesso si vorrebbe veicolare.
Purtroppo il regista mette in scena una satira generica che non riesce mai a colpire davvero, proprio perché rifiuta di scavare in profondità, tranne per quel che riguarda la vicenda dei fotoreporter.
L’impressione è che il film avrebbe potuto essere ambientato in una qualsiasi altra guerra e raccontare semplicemente una buona storia sui giornalisti coinvolti nei conflitti. La scelta di un contesto così singolare lascia una grande sensazione di potenziale sprecato.