Colorless recensione film di Takashi Koyama con Daichi Kaneko, Ruka Ishikawa, Kenta Maeno, Shuntaro Yanagi e Sakurako Konishi
Nella maggior parte dei drammi romantici giapponesi, i j-dramas o dorama, la rappresentazione dell’amore tra due persone è rappresentata secondo lo standard di un amore pulito, incontaminato da tradimenti, e in quelli più adolescenziali si arriva all’amore platonico e alla candida innocenza.
Ciò però non accade in Colorless, opera prima di Takashi Koyama presentata al Far East Film Festival 2020, tratta da una sceneggiatura già premiata in passato durante un concorso di trailer per futuri film da produrre e in cui il perno centrale sul quale gira l’intera narrazione è un oscuramento di tale dinamiche, una rappresentazione del marcio della realtà e della società giapponese.
Shu (Daichi Kaneko), giovanissimo fotografo, e un’altrettante giovanissima aspirante attrice e modella, Yuka (Ruka Ishikawa), finiscono per incontrarsi e lavorare assieme ad un book fotografico.
È l’occasione giusta per provarci, si tentano i primi approcci, la cosa non sembra andare benissimo, ci si rincontra e la relazione sembra poi prendere piede, ma non prima di un discorso su quanto innamorarsi e stare assieme abbia senso o meno.
Come spesso capita l’inizio di un nuovo “amore” non significa la fine della relazione precedente e provare nuovi sentimenti non significa annullare i vecchi; nella vita di Yuka c’è infatti ancora un ex, molesto e menefreghista e ben presto Shu se ne renderà conto.
Verso la fine dell’estate Shu diventerà poi un importante e richiesto fotografo, mentre Yuka cercherà di continuare la sua professione di modella divenendo sempre più incolore, sempre più indefinita, problematica, da qui le cose si complicheranno sempre di più fino ad arrivare ad un climax finale che è forse l’unico vero momento d’impatto del film.
– Che tipo di persona sei?
– Che tipo di persona, dice?
Ehm… dicono che sono una persona solare.
No, cosa penso io vuole sapere?
Che tipo di persona sono?
Non voglio saperlo.
(Ruka Ishikawa in Colorless)
Koyama, regista e co-sceneggiatore, opta per un racconto dall’ordine non cronologico suddividendo la pellicola in tre capitoli: giugno-luglio 2019, marzo-giugno 2019, dopo l’agosto 2019. È nel secondo capitolo che lo spettatore avrà un insight lungo e profondo delle amicizie, degli amori, degli sbagli e dei misteri della vita di Yuka; uno su tutti il suo lavoro di massaggiatrice “speciale” in un centro benessere e il suo rapporto stretto con il futuro redattore dell’agenzia fotografica nella quale Shu inizierà a lavorare di lì a poco.
L’intento è chiaro, evitare il giudizio morale e lasciare allo spettatore la scelta di come rispondere al meglio alla domanda dell’intervistatore di cui sopra.
Cosa non funziona allora in Colorless? Forse la lunghezza, che vede la storia trascinarsi per le lunghe; o forse è il tema, così abusato da risultare stancante per com’è qui trattato.
Chiunque sia stato innamorato potrebbe empatizzare con i due personaggi, se non fosse per un fastidio generale che si prova per quasi tutti loro, capaci da un lato di appassionare per sequenze intere e dall’altro di perdere di mordente per altrettante lunghe scene; la fotografia inoltre è fin troppo semplice e funzionale a se stessa, la colonna sonora non scandisce alcun momento in particolare per poi ricomparire all’improvviso quando non se ne sente il bisogno, l’atmosfera è un continuo passare da momenti tranquilli ad altri pregni di misoginia, sessismo, abusi ed oggettificazione di una protagonista che non sempre riesce a stare nella parte e convincere lo spettatore.
C’è chi ha ravvisato una somiglianza tra Colorless e Io la conoscevo bene del 1965, diretto da Antonio Pietrangeli con Stefania Sandrelli, Ugo Tognazzi e Mario Adorf. Ve lo citiamo con la speranza che possa colmare le mancanze che il film di Koyama ha purtroppo mostrato.