Comandante recensione film di Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino, Massimiliano Rossi, Johan Heldenbergh e Silvia D’Amico [Anteprima]
Il film si apre nell’oscurità inquietante delle prime fasi della Seconda guerra mondiale, nel quale emerge la figura di Salvatore Todaro, comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina Italiana. È il mese di ottobre del 1940 e nel buio della notte il battello incrocia il cammino di una nave mercantile belga, che naviga senza segnalazioni luminose.
La tensione cresce a bordo del sommergibile italiano e la decisione è ineludibile: i cannoni tuonano e il silenzio dell’oceano inghiotte per sempre quel vascello nemico. Ma il destino, spesso crudele, riserva ancora una sfida al coraggio di Todaro.
Ventisei naufraghi, sbalzati dall’esplosione nelle acque gelide, si ritrovano a galleggiare nell’oscurità. L’orrore e la disperazione si dipingono nei loro occhi mentre si affaccia nel comandante un dilemma che scuote la sua anima: lasciarli alla loro sorte, poiché sono nemici, o compiere un atto di umanità e salvarli, conformemente alla legge del mare.
Comandante, presentato all’ottantesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, rappresenta una sorprendente deviazione dai precedenti lavori di De Angelis, tra cui Il Vizio della Speranza o Indivisibili.
Anche in questa nuova opera il regista prosegue nella sua profonda esplorazione del concetto di umanità. Qui si trasforma in un’ambiziosa opera d’arte riflessiva, focalizzando con maestria le intricate dinamiche tra il coraggioso Todaro, il suo instancabile equipaggio e i naufraghi belgi. Un approccio narrativo che penetra nell’animo, scuotendo le fondamenta stesse della nostra comprensione sull’umanità.
Il film diventa manifesto delle questioni etiche che affliggono la contemporaneità: il focus verso il Mediterraneo, teatro di innumerevoli tragedie umane, assume una risonanza straordinaria all’interno della trama. Assume un’enorme dimensione politica, ponendo sotto i riflettori le decisioni cruciali che possono definire il destino di chi cerca rifugio e di chi, invece, è chiamato a compiere atti di umanità in mezzo al caos della guerra.
La pellicola fa parte del genere noto come submarine films, ma si discosta dagli stereotipi del genere in quanto non enfatizza il sottomarino come una macchina da guerra. Al contrario, lo rappresenta come un mezzo di soccorso e assistenza, evidenziando la sua capacità di intervenire anche in superficie per fornire aiuto.
De Angelis dimostra ambizione sia nella narrativa che nell’impegno di produzione. La denominazione di kolossal è pienamente giustificata, dato che il budget ammontava a 15 milioni di euro. La regia, in ogni caso, si distingue per la sua impeccabilità offrendo immagini di straordinaria bellezza e coinvolgimento emotivo.
Tuttavia non è privo di incertezze, soprattutto nelle fasi iniziali di presentazione dei personaggi, dove la narrazione rischia di generare confusione a causa della molteplicità dei punti di vista e scelte di montaggio talvolta non del tutto adeguate.
Trova un migliore equilibrio dopo la prima ora, man mano che la storia si sviluppa, ma perdura il rischio di perdere l’interesse dello spettatore in un momento critico in cui dovrebbe invece rapirlo. Il vero punto di svolta su cui poggia l’intera trama avviene quando il Cappellini si imbatte nel mercantile belga Kabalo. Ciò nonostante il ritmo lento e l’eccesso di dialoghi interiori, talvolta troppo didascalici, potrebbero mettere a dura prova la pazienza degli spettatori.
Comandante riesce a trovare un equilibrio affascinante tra il dramma e il comico, alternando con abilità momenti di leggerezza alla profonda gravità della guerra.
In questo contesto, Pierfrancesco Favino offre un’interpretazione straordinaria, ritraendo Salvatore Todaro come un personaggio complesso e affascinante: un militare patriottico, inestricabilmente legato alla difesa dell’umanità e dotato del cuore di un poeta.
La sua interpretazione viene ulteriormente valorizzata da un cast di attori di grande talento, tra cui spicca la performance di Massimiliano Rossi.
Il regista avrebbe potuto raggiungere una profondità drammatica ancor più significativa se avesse investito maggiori sforzi nello sviluppo delle storie di alcuni membri dell’equipaggio. Un’analisi più approfondita dei retroscena di questi personaggi avrebbe potuto conferire ancor più penetrazione al dramma.
Si rivela un’opera particolarmente godibile, capace di distinguersi non solo come un prodotto cinematografico singolare nel panorama italiano, ma anche come un film che utilizza il suo racconto per sollevare spunti di riflessione sulla natura dell’altruismo e sull’identità italiana.
In ogni caso, Comandante, pur mantenendo un tono onesto e in parte tenebroso, si erge come veicolo per un messaggio umanitario di profonda rilevanza.