Come pecore in mezzo ai lupi recensione film di Lyda Patitucci con Isabella Ragonese, Andrea Arcangeli e Tommaso Ragno
Come pecore in mezzo ai lupi è l’esordio alla regia di Lyda Patitucci. Prodotto da Groenlandia, casa di produzione fondata da Sydney Sibilia e Matteo Rovere – con cui Patitucci si è fatta le ossa in seconda unità – Come pecore in mezzo ai lupi è un thriller dalle atmosfere cupe con protagonista la quasi irriconoscibile Isabella Ragonese.
Vera (Isabella Ragonese) è un’agente di polizia sotto copertura. Arcigna e misteriosa, è impegnata a far catturare una temibile banda di criminali serbi, di cui si finge preziosissima factotum; procura macchina e armi, si rende sempre disponibile, trova soluzioni a problemi organizzativi quanto meno complessi. Le cose cambiano quando nella banda viene assoldato il fratello Bruno (Andrea Arcangeli), disposto a tutto per donare un futuro migliore alla figlia Marta (Carolina Michelangeli). Esposta anche da un punto di vista emotivo, Vera proverà con ogni mezzo a proteggere la sua vera identità, in un crescendo di tensione destinato a deflagrare in tragedia.
Un thriller con buone premesse
Nell’ultimo decennio, la maggior parte dei thriller italiani con particolari venature action hanno risentito di una spiccata spettacolarizzazione della violenza. Spregevoli clan criminali, realistici conflitti a fuoco e sordidi legami con il potere hanno spesso dato il là a una sorta di canovaccio narrativo che di certo ha funzionato per determinati film. La sensazione che però si sta avendo negli ultimi anni è quella di una sorta di stagnazione stilistica e tematica: un racconto solamente avvincente ma poco accurato sulle ragioni che portano un individuo a farsi soggiogare da un esecrabile stile di vita.
Come pecore in mezzo ai lupi riesce intelligentemente ad andare in controtendenza: più della spettacolarizzazione della violenza, la sceneggiatura curata dal navigato Filippo Gravino – sceneggiatore di titoli interessanti come La terra dei figli, Veloce come il vento e Alaska – cerca di soffermarsi innanzitutto su tutti quegli individui inesorabilmente frantumanti dalla violenza. C’è appunto Vera, donna dalla personalità forte ma dall’anima fragilissima, e poi c’è lo spiantato Bruno, la cui fisicità esile funge da significativo correlativo oggettivo: due facce della stessa medaglia che, forgiate da scelte di vita diverse alquanto discutibili, si ritrovano ad un tratto e fortuitamente dalla stessa parte.
Un cast indovinato per un film non compiuto
Le interpretazioni della camaleontica Ragonese e dello scheletrico Arcangeli sono assolutamente un punto di forza del film, e di sicuro lascia un po’ l’amaro in bocca il poco minutaggio riservato al bravissimo Tommaso Ragno, che interpreta l’inflessibile padre di Vera e Bruno. Prescindendo però dalla fotografia precisa di Giuseppe Maio, capace di cogliere il colore degli ambienti più oscuri della capitale, e da una regia asciutta e senza particolari imprecisioni, la pellicola di Patitucci non può definirsi un’opera completamente riuscita.
Se le premesse sono tutto sommato buone, con una più che discreta presentazione e conseguente caratterizzazione dei personaggi, l’opera subisce un’involuzione negativa soprattutto negli ultimi trenta minuti, con scene d’azione non troppo coinvolgenti e con piccole scorciatoie della trama che, volendo condurre il più velocemente possibile al gran finale, appiattiscono una narrazione che sembrava aver trovato un suo ritmo. Un peccato, insomma, per una pellicola che, pur restando abbastanza godibile dall’inizio alla fine, si rivela in definitiva un’occasione non pienamente sfruttata.