Come per disincanto – E vissero infelici e scontenti recensione film di Adam Shankman con Amy Adams, Patrick Dempsey, Maya Rudolph, Yvette Nicole Brown, Jayma Mays, Idina Menzel e James Marsden
Certe magie fanno un giro lunghissimo e poi ritornano. La frase non è esattamente così, ma facciamo finta che lo sia, perché descrive benissimo la parabola di Come per disincanto -E vissero infelici e scontenti. Un titolo – e un film – di una lunghezza considerabile, ma che riportano la magia del primo Come d’incanto sulla piattaforma streaming di Disney+.
Diretto da Adam Shankman e con la sceneggiatura di Brigitte Hales, il sequel di Come d’incanto arriva dopo 15 anni, ci restituisce i personaggi che abbiamo amato, ce ne fa conoscere altri nuovi, mescola live action e animazione e regala nuove canzoni, alcune delle quali vi entreranno nel cuore e nella libreria di Spotify.
Come per disincanto – E vissero infelici e scontenti: la trama
Giselle (Amy Adams) e Robert (Patrick Dempsey) sono felicemente sposati da 15 anni e vivono a New York con la primogenita di lui Morgan (Gabriella Baldacchino) e la nuova arrivata in famiglia, la piccola Sophie. Poiché la vita newyorkese ha perso quello smalto magico e fiabesco per Giselle, tutta la famiglia decide di trasferirsi in un posto più piccolo e tranquillo, dove ritrovare la magia perduta. La scelta ricade su Monroeville, deliziosa cittadina in cui si stabiliscono. Adattarsi in un nuovo posto è molto più difficile di quanto Giselle immagini, soprattutto, se c’è una queen bee come Malvina Monroe (una strepitosa Maya Rudolph) a gestire le redini della città.
E, quando anche con Morgan i rapporti si incrinano, Giselle vede sfumare il suo sogno del perfetto happily ever after e decide di rivolgersi alla magia di Andalasia, sfruttando la bacchetta dei desideri per riottenere una “vita da favola“. Ma, cosa succede quando il tuo desiderio più grande ti trasforma nel tuo peggior incubo? In una serrata corsa contro il tempo, Giselle dovrà spezzare l’incantesimo che lei stessa ha lanciato, prima che il suo lieto fine si tramuti in un “e vissero per sempre infelici e scontenti”.
Un gioco con gli archetipi delle fiabe
Brigitte Hales gioca con gli archetipi delle fiabe per raccontare cosa succede dopo che il libro si è chiuso e la magica frase “e vissero felici e contenti…” è stata pronunciata. Il lieto fine, per Giselle, ha i colori brillanti e patinati del mondo di Andalasia, torri, boschetti, fortezze, ma non solo quello: ha anche dei ruoli prestabiliti. Ciò che ci rassicura maggiormente nelle favole è proprio la loro ciclicità e familiarità: sappiamo chi è il cattivo, chi è l’eroe, che cosa dovranno affrontare per ottenere il lieto fine. Ci rassicurano perché sono immutabili, bianche e nere, senza sfumature. Il contrario esatto del nostro mondo. Ed è su questo che la sceneggiatrice lavora, creando una storia che sapientemente mette la sua eroina di fronte alla scelta tra un lieto fine confezionato, patinato e tirato a lucido (anche nella fotografia), ma rassicurante, e qualcosa che invece è imperfetto, a volte noioso e grigio, ma che riesce a riscaldare il cuore più del sole.
Volti vecchi e nuovi per una favola moderna in stile Disney
Così, Giselle si ritrova a lasciare indietro le vesti della principessa in cerca del vero amore -una sorta di mitico passato dorato – e rischia, seguendo la logica degli archetipi delle fiabe, di trasformarsi nel suo incubo peggiore e di rovinare per sempre il rapporto con Morgan. L’idea di far tornare il vecchio cast si è rivelata vincente, perché i siparietti comici tra Patrick Dempsey e James Marsden non avrebbero avuto lo stesso charme con altri volti. E, soprattutto, abbiamo finalmente la possibilità di veder cantare Idina Menzel, che è sempre una garanzia. Accanto a loro, Maya Rudolph presta volto e voce a Malvina Monroe, alla quale dovremmo assegnare il ruolo di villain, ma sarebbe davvero banale. Rudolph è un’aggiunta azzeccata, merito anche dell’espressività della sua recitazione, di quella sassy attitude che ben si contrappone all’ingenuità di Giselle.
A contornare storia e personaggi ci sono, ovviamente, i numeri musicali, con la colonna sonora del vincitore premio Oscar Alan Menken e i testi del pluripremiato Stephen Schwartz che già ha lavorato al primo Come d’incanto. Numeri musicali splendidi, alcuni sicuramente più riusciti (vedi, ad esempio, Badder) di altri, ma in generale, un tripudio di colori e costumi in pieno stile Disney.
Alan Shankman riesce, al netto di alcune sbavature nel ritmo e di un’eccessivo minutaggio, a non deludere le aspettative, dando vita a una fiaba musicale disneyana dal sapore moderno, in cui i ruoli prefissati, le dinamiche già rodate sono stravolti e rimodellati, per ricordare al pubblico che il lieto fine è solo l’inizio di una meravigliosa, imperfetta storia, ancora tutta da raccontare. E, se ne avete voglia, provate a contare i numerosi easter eggs sparsi nel film. Avrete delle piacevoli sorprese.