Uscito pochi giorni fa negli Stati Uniti e atteso in Italia ad agosto, Crawl – Intrappolati è uno dei migliori horror di questa stagione cinematografica. Diretto da Alexandre Aja, regista francese trapiantatosi negli USA su chiamata di Wes Craven, il film vede nelle vesti di produttore un altro grande esponente della “vecchia scuola” dell’horror americano, Sam Raimi, regista de La casa e della prima trilogia di Spider-Man con Tobey Maguire. Il film, girato in Serbia con un budget di 13.5 milioni di dollari subito recuperato nel primo weekend di programmazione, vede come protagonisti Kaya Scodelario e Barry Pepper, già visti insieme nella trilogia di Maze Runner.
Crawl – Intrappolati, puro rappresentante del “cinema di genere” è un ottimo esempio di narrazione di qualità. Non presenta sottotraccia particolari riflessioni: non sembra di vedere in esso neanche quella componente ecologista che altri vi avrebbero rintracciato. Uno dei punti di forza di questo film risiede semmai nella mescolanza di generi che il regista, assieme ai fratelli sceneggiatori Michael Rasmussen e Shawn Rasmussen, è riuscito brillantemente ad operare. L’ambientazione è quella di un classico disaster movie americano: in Florida, con un potente tornado in procinto di scatenarsi, Haley Keller, giovane aspirante nuotatrice, forza i posti di blocco della polizia per recuperare il padre Dave, che né lei né la sorella maggiore sono riusciti a contattare telefonicamente.
Tuttavia il conflitto scatenante del film non risiede nel pericolo esterno, che avrebbe richiesto ben altro budget per essere trasposto sul grande schermo: il maggiore pericolo che padre e figlia devono affrontare risiede in un branco di alligatori che, tenuti in cattività nei pressi della casa in campagna del padre, sono stati liberati dal tornado. A lungo bloccata nella cantina della casa assieme al padre, Haley dovrà far forza su tutte le sue capacità di nuotatrice per cercare di salvarsi.
In questo modo Crawl risulta molto vicino da una parte ad una home invasion, sottogenere dell’horror molto popolare in questi tempi, dall’altro lato al filone degli shark movies inaugurato – è superfluo dirlo – da Lo Squalo di Steven Spielberg nel 1975. Ed è proprio a Lo Squalo che Crawl non teme di rifarsi direttamente, tra un’easter egg e numerose inquadrature in soggettiva dei coccodrilli: brillante variazione del tema dello “squalo mangiapersone”, Crawl riesce a imporsi come crocevia di differenti narrazioni grazie al confluire di una regia solida, interpretazioni convincenti, fotografia di qualità, ed effetti speciali credibili.
Sono passati i tempi del monologo finale di Maze Runner: La fuga, in cui l’interpretazione della Scodelario rendeva comico il momento più drammatico del film, anche per colpa della sceneggiatura: la sua interpretazione, al pari di quella del padre, è importante per la riuscita del film, quanto più che la narrazione di Crawl si poggia quasi interamente sulle azioni e sui corpi dei protagonisti, con dialoghi volutamente scarni; e sulla direzione degli attori c’è ben poco da biasimare ad Aja. Lo stesso vale per la fotografia mai banale del belga Maxime Alexandre, che riesce a creare una successione costante di inquadrature d’impatto già solo da un mero punto di vista visivo.
Rispetto ad altri horror contemporanei, Crawl merita un posto privilegiato proprio per la fluidità della sua narrazione, per la scioltezza della sua costruzione drammaturgica, che incarna quasi alla perfezione l’unità aristotelica di tempo, luogo e azione. Senza particolari twist nella trama, Crawl costruisce la tensione in una maniera particolare, a metà fra Lo Squalo e i tanto bistrattati jump scares dell’horror contemporaneo: la tensione si mantiene costante, con dei picchi improvvisi ben distribuiti nella giusta durata del film, una novantina di minuti.
Crawl – Intrappolati ha senz’altro qualche piccola macchinosità “americana”, come la rivincita della nuotatrice che non sale mai al primo posto del podio, ma di fronte a un prodotto tanto ben costruito questi sono piccoli dettagli facili da dimenticare. Non brilla certo per originalità, ma poco importa: la forza del film sta proprio nella sua innovazione della tradizione (del topos, potremmo dire), nella sua originalità nel percorrere nuovamente gli stessi percorsi di altri; il che, in un periodo di fiacche scopiazzature, non è da poco.
Ludovico