Cry recensione film di Hirobumi Watanabe con Hirobumi Watanabe, Misao Hirayama e Riko Hisatsugu presentato in anteprima internazionale al Far East Film Festival 2020
Quanti film vengono realizzati oggi senza compromessi? Normalmente l’iter che porta all’uscita in sala o in streaming di nuovo materiale cinematografico è estremamente complesso e assolutamente non lineare (giusto per rimanere nella contemporaneità basta guardare Hollywood) ma di mezzo c’è sempre un interesse economico. Quale che sia il budget, investire in un prodotto sottintende l’obiettivo di avere un ritorno personale in moneta sonante o, se proprio non è possibile, in fama e gloria su cui poter far leva per racimolare altri soldi.
Immaginate che un regista si presenti ad una casa di produzione, anche medio-piccola, con un pitch riguardante la classica giornata di lavoro di un allevatore di maiali, ripresa in bianco e nero con audio per lo più ambiente. Al produttore in ascolto si sarebbe immediatamente inarcato il sopracciglio, forse per una strana curiosità piuttosto che la perdita di tempo a cui andare incontro. Nessun dialogo, un cast ridotto all’osso, sceneggiatura praticamente inesistente, un racconto letteralmente per immagini. Con il secondo sopracciglio aggrottato, nessuno spazio per equivoci: grazie ma il mercato non è pronto a qualcosa del genere.
Nessuno come Watanabe guarda alla realtà senza fini di spettacolo, neorealismo o metafora. Quello che si presenta allo spettatore è un grande racconto che ibrida logica aristotelica, necessità autoriale e normalità quotidiana semplicemente vivendo la realtà e sottoponendola alla camera. Se bisogna trovare un obiettivo alle sequenze di Cry, è probabilmente quello di trovare negli interstizi luci e ombre della vita senza riflettori, quella che anche noi siamo costretti inevitabilmente ad affrontare ogni giorno.