Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer spiegazione e significato della serie Netflix creata da Ryan Murphy e Ian Brennan
Critiche e apprezzamenti, la bilancia non pende da nessuna delle due parti: la serie TV Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer – la nostra recensione – ha ricevuto svariati commenti sia positivi che negativi, in base alle diverse percezioni che il pubblico ha avuto del modo in cui la storia del serial killer viene raccontata nella miniserie di Ryan Murphy e Ian Brennan.
Non è la prima opera audiovisiva che ha deciso di occuparsi del caso Dahmer, ed è questa una delle motivazioni per le quali i parenti delle vittime si sono rivoltati contro Netflix, colpevolizzando la piattaforma di aver infilato per l’ennesima volta il coltello nella piaga e di aver strumentalizzato il loro dolore per un guadagno. Difatti esistono già svariati film, serie TV documentaristiche ed anche speciali TV incentrati sulla storia di Jeffrey Dahmer. Ed alcuni di questi sono presenti sulla stessa piattaforma di streaming Netflix. Ma quest’ultimo titolo, che ha debuttato nel mondo il 21 settembre 2022, ha qualcosa di diverso rispetto a ciò che è stato prodotto precedentemente, che non tutti sono riusciti a cogliere. Questa serie riesce ad essere arte.
Chi è Jeffrey Dahmer?
Jeffrey Dahmer era una persona comune, così si definiva. Non si reputava strano, anormale, pazzo. Eppure, era un assassino, molestava le sue vittime, per poi ucciderle, avere rapporti sessuali con i loro corpi, ed infine squartarli e talvolta cucinarli e mangiarli. Jeffrey Dahmer ha detto più volte che lui, così, ci era nato. Non ha attribuito nessuna colpa alla sua infanzia difficile, al bullismo, al divorzio dei genitori, all’essere abbandonato dalla famiglia. Nessuna colpa attribuita al padre per aver fomentato in lui una macabra passione per la vivisezione dei corpi morti, perché Jeffrey dice che quella passione è nata nel momento in cui è venuto al mondo. Non faceva soffrire le sue vittime, le drogava fino a farle perdere i sensi, per poi strangolarle in una morte indolore. Solo allora aveva rapporti sessuali con loro. A Jeffrey non piaceva uccidere le sue vittime, ma i corpi morti lo attraevano.
Jeffrey Dahmer nasce il 21 maggio del 1960 a Milwaukee, una cittadina del Wisconsin, negli USA. Figlio di uno studente di chimica e di un’istruttrice telescriventista, lui sempre fuori per lavoro e lei affetta da depressione. Non ha amici, e scopre ben presto di essere gay, e di essere sessualmente attratto dai corpi morti. Decide di non parlarne con nessuno.
Compie quindi il suo primo omicidio a diciotto anni, nella casa dei suoi genitori, dopo il divorzio, per poi subire numerosi arresti per varie molestie e violenza sessuale. Nonostante una fedina penale come la sua e i numerosissimi richiami da parte dei vicini di casa del suo appartamento numero 213, luogo in cui sono avvenuti svariati omicidi, per la maggior parte di ragazzi appartenenti alle minoranze etniche, e le denunce stesse da parte di un ragazzino riuscito a fuggire al tentato omicidio, per anni le forze dell’ordine non hanno mai approfondito il suo caso. Perchè? Omofobia e razzismo rappresentavano un ostacolo, e forse è un ostacolo che ancora oggi non si è riusciti a superare.
Jeffrey Dahmer è finalmente in arresto dopo il 22 luglio 1991, grazie ad un ragazzo che riesce a scappare ed attirare finalmente l’attenzione delle forze dell’ordine. Condannato ad una vita in carcere, è poi ucciso da un altro prigioniero affetto da schizofrenia.
Come è presentato Dahmer nella serie Netflix
La storia di cui si è appena parlato viene raccontata nella serie TV Netflix Dahmer – Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer a partire dalla sua nascita fino ad arrivare al giorno della sua morte. La particolarità dell’opera, che la distingue da tutte le altre realizzate sul medesimo soggetto, è il modo in cui essa viene raccontata.
Come detto precedentemente, la serie ideata da Ryan Murphy e Ian Brennan non è stata compresa da tutti, e ciò ha portato a svariate critiche. Critiche che riguardano maggiormente ciò che essa vuole davvero comunicare. In molti si sono impuntati sul fatto che l’opera, in realtà, non spieghi i motivi per i quali Jeffrey Dahmer uccideva, almeno da un punto di vista psicologico, e che non spieghi nemmeno quali erano le reali conseguenze delle sue azioni. Alcuni hanno addirittura giudicato la serie come uno spettacolo creato solo per mettere in mostra l’orrore.
La serie, in realtà, è realizzata in modo del tutto particolare. È come se, in un certo senso, fosse stato Jeffrey Dahmer stesso a scriverla (portato in scena magnificamente da Evan Peters). Egli era convinto che quello che faceva era normale, non era sbagliato e lui non era diverso. Aveva soltanto una particolare preferenza sessuale. Difatti, le sue azioni sono mostrate esattamente per quello che sono state, senza badare alle motivazioni o alle conseguenze, poiché erano cose alle quali l’assassino non prestava affatto attenzione. Dopo aver provato a reprimere i suoi istinti, Dahmer ha deciso di accettarsi per quello che era. Che tutto ciò possa essere scaturito da traumi o da altre motivazioni, egli non ci faceva caso. Ed è con questo sguardo che la miniserie Netflix mostra chi era Jeffrey Dahmer.
Il tutto ripreso numerose volte con inquadrature fisse, che ricordano un po’ Sorrentino. La macchina da presa è uno sguardo imparziale sulla vita dell’assassino, e mostra la verità. La violenza stessa non è mostrata, ma intuita, percepita. La si capisce dalle immagini, dai contesti, ma non è mai mostrata davvero su schermo. Come se Dahmer combattesse con se stesso per reprimere qualcosa che la società giudica sbagliato. E questo suo modo di pensare è traslato in un’opera d’arte senza precedenti.