Dan Brown – Il simbolo perduto recensione serie TV Sky di Dan Dworkin e Jay Beattie con Ashley Zukerman, Eddie Izzard, Valorie Curry, Sumalee Montano, Rick Gonzalez e Beau Knapp
Il simbolo perduto, dalla durata di dieci episodi e ideata da Dan Dworkin e Jay Beattie, è una serie televisiva disponibile su Sky Serie e NOW basata sull’omonimo romanzo, pubblicato nel 2009, di Dan Brown.
Robert Langdon (interpretato da Ashley Zukerman) sta tenendo una lezione di simbologia quando riceve una telefonata a nome del suo mentore, Peter Solomon (Eddie Izzard). A parlare, però, non è Peter, bensì un suo assistente che chiede a Robert di fare fagotto e incontrare Peter al Campidoglio.
Robert, che è abituato alle bizzarrie di Peter, prende e va… solo per non trovare nessuno sul posto, oltre i normali turisti.
Di nuovo a telefono con il fantomatico assistente, Robert scopre che no, Peter non lo incontrerà al Campidoglio, perché si trova niente meno che al confine tra l’Inferno e il Paradiso. Sta a Robert trovare un modo per riportarlo indietro o accettare che non torni più, “modo” che consiste nel trovare un antico portale e aprirlo.
“Peter ti mostrerà la via” lo rassicura la voce, ma come fare se Peter non c’è?
Il piano della voce è ben articolato, perché Robert si ritrova a guardare la Mano dei Misteri, nient’altro che la mano mutilata di Peter, al centro del campidoglio. Perché abbiamo a che fare con un Robert più giovane, più inesperto e forse anche più scettico, non dice di no quando gli si affianca la CIA. Nello specifico, con lui c’è l’agente Inoue Sato (Sumalee Montano), i cui motivi per interessarsi ai Solomon sono più legati al giovane Zachary (assassinato in Turchia) che a Peter.
Con loro, anche il poliziotto Alfonso Nuñez (Rick Gonzalez), che deve scendere a patti con il suo orgoglio ferito dopo aver lasciato che l’uomo misterioso – la voce – entrasse nel Campidoglio e agisse indisturbato, tanto da riuscire a posizionare la mano mutilata di Solomon in una delle stanze principali.
Ultima, ma non per importanza, sulla scena del crimine appare Katherine Solomon (Valorie Curry), che vuole scoprire dove si trovi suo padre e salvarlo, qualunque sia il costo. È così – un po’ collaborando e un po’ scappando gli uni dagli altri, perché è impossibile capire di chi fidarsi – che i personaggi principali si muovono tra enormi biblioteche, tunnel sotterranei e simboli antichi, il tutto in cerca del portale, della verità, e della salvezza di Peter Solomon.
I fan del libro non hanno faticato troppo a notare le differenze tra i due prodotti, una tra tante Katherine, che nel libro è la sorella di Peter e non la figlia. Nonostante ciò, l’esordio della serie televisiva è più che valido.
L’attacco dei primi due episodi incuriosisce e porta a volerne sapere sempre di più, fianco a fianco a Langdon, e i 45 minuti volano verso un cliffhanger che lascia lo spettatore a bocca aperta e un po’ frustrato all’idea di dover aspettare per poter vedere l’episodio seguente. Le musiche, poi, in alleanza con la fotografia, forniscono un prodotto ottimamente impacchettato.
L’attenzione ai dettagli – come la claustrofobia di Langdon – porta alla costruzione di scene che vanno ben oltre il semplice funzionale o il riempitivo, e contribuisce alla creazione di personaggi incredibilmente umani. Langdon e i Salomon non sono solo dei geniacci, dei grandi studiosi che sanno sempre ed esattamente cosa fare – sono persone con un background accademico stupefacente ma che potrebbero trovare utile un corso su come affrontare i problemi e relazionarsi con gli altri. Sono personaggi, insomma, in cui lo spettatore può ritrovarsi pur senza conoscere il valore di π.
Un cast ottimo per rappresentare personaggi altrettanto validi e più di un mistero da scoprire – e qui in redazione non vediamo l’ora di scoprire se Il simbolo perduto rimarrà, nei prossimi episodi, all’altezza delle aspettative.