Dead Man recensione film di Jim Jarmusch in edizione restaurata 4K con Johnny Depp, Gary Farmer, Mili Avital, Lance Henriksen, Alfred Molina, Gabriel Byrne, Crispin Glover, John Hurt e Robert Mitchum
Movies Inspired porta in sala questo mese alcuni restauri in 4K delle opere del regista, sceneggiatore e musicista americano Jim Jarmusch, celebre per titoli recenti come I morti non muoiono (2019) e Paterson (2016), le famose collaborazioni italiane Taxisti di Notte (1991) e Daunbailò (1986) che videro la partecipazione di Roberto Benigni tra gli interpreti, Permanent Vacation (1980) e Mystery Train – Martedì notte a Memphis (1989).
Abbiamo avuto occasione di vedere in anteprima Dead Man, film che Jarmusch presentò in concorso al 48° Festival di Cannes nel 1995, vincendo poi il premio per il Miglior Film Internazionale agli European Film Awards nel 1996.
Seconda metà dell’800, Johnny Depp (che in quegli anni soleva interpretare ruoli dal viso pulito senza un filo di make-up o quasi) interpreta William Blake, omonimo del poeta inglese che tutti noi conosciamo, ma non è un artista né un letterato, è semplicemente un umile uomo partito da Cleveland (città che gli ha dato i natali e che ora accoglie le anime dei suoi genitori recentemente deceduti) per raggiungere il villaggio di Machine, nel quale dovrebbe occupare il posto di contabile – la lettera di raccomandazione che ha in tasca parla chiaro.
Abbigliato di tutto punto, percorre le terre desolate su un treno zeppo di personaggi discutibili e che lo squadrano dalla testa ai piedi – non sembra essere un uomo comune.
Tanto quanto il treno, anche Machine non è un villaggio accogliente, chiunque sembra pronto a fare fuoco al minimo alterco e il lavoro tanto promesso non esiste più, perché da ormai un mese è stato preso da un altro uomo – e guai a reclamare i propri diritti perché il boss è il tirannico John Dickinson (Robert Mitchum), un vecchio magnate dell’acciaio dalla poca pazienza e dal grilletto più che facile.
Blake è allora solo, senza un soldo in tasca e in un luogo dove è già potenzialmente un uomo morto. Ma lo sarà ancora di più dopo aver conosciuto la giovane Thel Russell (Mili Avital), che lo ospita a casa, lo accoglie sotto le lenzuola, ma che poi al mattino perisce tra le sue braccia a causa di una pallottola sparata dal suo ex marito, appena entrato in camera. È, o meglio dire era Charlie Dickinson (Gabriel Byrne), il figlio del dispotico boss, che viene a sua volta ucciso da Blake mentre sanguina per una ferita al petto; si è preso infatti la pallottola che ha attraversato il petto dell’amata, che non sembra però avergli toccato nessun organo interno.
Per non anticiparvi la visione ci fermiamo qui: lo sviluppo dell’intera trama si può intendere come un viaggio on the road poetico, forse redentore, una danza macabra nella quale l’uomo morto che cammina verrà inseguito da diversi cacciatori di taglie voluti da Dickinson senior, un cammino costellato di piccolissime gag che sanno anche far sorridere.
Dead Man è un’opera particolare, dal forte sapore estetico da vecchio western degli Anni ’30 – ’40, in bianco e nero, che come in Paris, Texas di Wim Wenders è costantemente accompagnato dal suono della chitarra di una leggenda del folk rock o country rock – nel film del 1984 era Ry Cooder, in questo caso è il cantautore Neil Young.
Un film che si prende i suoi tempi ma che alla fine riesce a ribaltare gli stereotipi del genere, in particolare quello del buon selvaggio, quella persona incorrotta, incontaminata, barbara, incivile e deculturata, un individuo primitivo più simile alla sregolatezza della natura che alla civiltà umana.
Ma nell’opera di Jarmusch ad essere ignoranti, corrotti, selvaggi, assassini e addirittura cannibali non sono altro che gli stessi bianchi, non più gli Indiani d’America.
È Blake a non capire le citazioni poetiche pronunciate da Nessuno (Gary Farmer), l’omone buono e saggio dallo strano nome che l’ha salvato, un indiano esiliato dalla tribù d’origine dopo la deportazione in Europa da parte dell’uomo bianco.
E secondo il teorico cinematografico Jonathan Rosenbaum, Jarmusch arriva a giocare anche con noi, perché quando gli indiani parlano tra loro fanno delle battute che non capiamo, evitando di creare dunque un prodotto culturale atto ad intrattenere un pubblico occidentale e che dia qualsiasi informazione possibile, un prodotto che a momenti ci fa sentire a nostra volta (forse) ignoranti e meno acculturati.
Punto centrale dell’opera è la spiritualità ma è fortissimo anche il cambiamento di direzione perché se in passato erano figure religiose come quelle dei Gesuiti pellegrini ad essere in grado di salvare le anime dei buoni selvaggi durante le campagne di colonialismo religioso e conversione, nella narrativa di Dead Man è Nessuno a salvare l’anima dell’uomo bianco William Blake: è grazie alla sua guida spirituale che il protagonista riesce a trascendere questo mondo ed entrare in un’ottica da Nativo Americano, ma solo e soltanto quando entra a contatto con la natura selvaggia abbandonando del tutto la civiltà occidentale.
Gli appassionati di antropologia avranno bene in mente un termine durante e a fine visione, ovvero quella della liminalità, che nel libro Riti di passaggio di Arnold Van Gennep, testo sviluppato poi da Victor Turner, viene inteso come uno stato di apertura e ambiguità che caratterizza una fase preliminare o precedente, una fase intermedia o liminale e un’altra fase post-liminale o posteriore: in parole povere si tratterebbe di quel confine o di quel periodo di transizione tra due stati stabili, un rito di passaggio insomma, un rito appunto liminale, quella fase transitoria dove si sta sulla soglia di due diversi stati, tra una cosa che è successa e una cosa che sta per succedere, proprio come quello che accade a Blake dal momento della sua presunta morte fino all’ultima scena sulla canoa.
Pellicola insolita, a suo modo poetica, dai tempi dilatati e costellata di celebrità e personaggi iconici, un film che già dal titolo sembra parlare chiaro: Dead Man, storia di un uomo morto che esiste nello spazio liminale tra la vita e la morte, forse uno spirito che ancora possiede una forma umana che durante il film intraprenderà il suo passaggio (spesso doloroso) dalla terra dei vivi ad un qualsivoglia aldilà.
E Nessuno potrebbe essere a sua volta un personaggio liminale perché in grado di influenzare l’identità del protagonista che appare chiaro passi da uomo occidentale a quasi Nativo Americano.