Destroyer recensione del film di Karyn Kusama con Nicole Kidman, Tatiana Maslany, Sebastian Stan, Toby Kebbell e Scoot McNairy
Erin Bell (Nicole Kidman) si sveglia nella sua auto dopo aver trascorso una nottataccia e dallo specchietto retrovisore osserva alcuni ragazzi che saltano sui loro skateboard. La luce di Los Angeles abbacina e lei riesce a malapena ad aguzzare la vista. Ancora stordita, scende dalla macchina e si avvia verso la scena di un crimine. Sembra uscita da un pestaggio o dalla peggiore sbornia della sua vita.
La protagonista è una detective del LAPD che vive nel degrado, ha un pessimo rapporto con la figlia adolescente e la vita e la bottiglia non sono stati clementi con lei. Il lavoro sotto copertura per infiltrarsi in una banda criminale non solo ha segnato la sua esistenza ma diventa la sua ossessione anche se sono già passati 15 anni; il suo unico scopo è infatti ritrovare tutti i membri di quella banda per chiudere un vecchio conto. Nella sua discesa all’inferno e nella ricerca della redenzione ricorda la versione femminile dell’Harvey Keitel de Il cattivo tenente di Abel Ferrara.
La regista Karyn Kusama racconta la storia con una serie di flashback alternati al presente e con una Erin provata e ingrigita non solo dagli anni ma anche dall’alcool e dalla depressione. Lei osserva la sua vita sgretolarsi senza che nessuno se ne accorga. La sua ossessione – catturare il capo banda Silas – la tormenta e la accompagna durante le giornate in una Los Angeles crepuscolare, mentre affronta i demoni del passato alla ricerca di un riscatto a qualsiasi prezzo.
Contrariamente ad altri film, in Destroyer la maternità non è la scialuppa di salvataggio dove il personaggio rinuncia a tutto e si redime, piuttosto rinuncia ad essa per portare avanti la sua vendetta, sentimentale e personale.
La Kidman è riuscita a gestire in modo impressionante tutta un’ampia varietà di emozioni, dimostrando la sua capacità di adattamento nell’interpretazione di un personaggio così volubile e disperato. È come un animale ferito, un cane ramingo senza alcun padrone che vede però una via di uscita, un obiettivo, per cui ripercorre ognuno dei suoi passi affrontando i propri fantasmi e peccati.
Nonostante il ritmo lento, questo thriller ci cattura e ci trascina nel bassofondo di ognuno dei suoi personaggi. Un film che racconta fin dove può arrivare una persona giudicando sé stessa e “distruggendo” la propria vita soltanto per rimediare agli errori fatti.
Con una resa visiva eccellente e una certa aura nichilista che ricorda Drive, il film esplora i temi del senso di colpa e della vendetta, senza pietismi o giudizi morali, indugiando negli anfratti più bui dell’essere umano, in cui il presente esige che il cerchio venga chiuso. A scapito di tutto e tutti.
Gabriela