Dio è donna e si chiama Petrunya di Teona Strugar Mitevska con Zorica Nusheva, Labina Mitevska, Simeon Moni Damevski, Suad Begovski e Stefan Vujisic
Dio è donna e si chiama Petrunya è il film di Teona Strugar Mitevska che ha stregato il pubblico all’ultimo Torino Film Festival. La 32enne Petrunya (Zorica Nusheva) è una giovane laureata in storia, disoccupata e amareggiata dalla vita. Camminando verso casa dopo un colloquio, incrocia una cerimonia religiosa riservata a soli uomini. La croce di legno lanciata nell’acqua deve essere recuperata da uno degli uomini a cui è “promessa” felicità e prosperità. Ma, completamente al di fuori della tradizione religiosa, sarà una donna a raggiungere per prima la croce: Petrunya. L’intero paese si rivolterà tentando di riaverla.
La storia, come raccontato dalla stessa regista, è tratta da un evento realmente accaduto. Il lancio della croce è un tradizione tipica dei paesi ortodossi che si svolge il 19 gennaio. In Macedonia nel 2014 è stata una donna a recuperare la croce per la prima volta. Il suo gesto, come quello di Petrunya nella pellicola, è stato considerato scandaloso dalla comunità dato che la tradizione religiosa esclude le donne dal partecipare alla cerimonia.
Per una buona analisi della pellicola si può partire da una dichiarazione di Teona Mitevska, la regista: “In molti mi chiedono se è un film femminista, ma ogni film con un personaggio femminile fuori dagli schemi e dai ruoli consueti è un film femminista”. Petrunya è una protagonista che si mostra fuori dagli schemi e dagli standard imposti dalla sua società. Ma se inizialmente appare turbata da tale condizione, il “viaggio” che affronta la porta a cambiare profondamente la consapevolezza che ha di se stessa.
L’attacco da parte degli uomini del paese, a causa del suo gesto “sconveniente”, è in realtà la punta dell’iceberg della supremazia maschile che prova a schiacciarla. Petrunya appare come costantemente soffocata da chi gli sta intorno. La protagonista Zorica Nusheva è perfetta nel riuscire a mostrare il cambiamento di un personaggio costretto al ruolo di “pecora” ma che in realtà è per natura un “lupo”, posizioni chiamate in causa più volte nel corso della pellicola. Petrunya, inizialmente sommersa dalla sua infelicità e dalla sua disperazione, comprende di dover tirare fuori i denti. È decisa a non mollare. Sullo schermo si susseguono un continuo di atti violenti (fisici e verbali) e misogini che producono l’effetto opposto spingendo la protagonista a non mollare. Ogni provocazione segna un punto più alto della sua convinzione di essere nel giusto, di avere il diritto di possedere la croce.
Dio è donna e si chiama Petrunya non è una ricerca d’aiuto da parte della sfera femminile soffocata da religione e patriarcato. È un grido di guerra, feroce ed estenuato, che vuole dire basta alla misoginia, all’ignoranza e al fanatismo religioso.
Valentina