Diva futura recensione film di Giulia Louise Steigerwalt con Pietro Castellitto, Barbara Ronchi e Denise Capezza [Venezia 81]
Sorridere, essere ottimisti, considerare solo ed esclusivamente gli aspetti positivi di ogni essere umano che incontriamo, tentare ostinatamente di migliorare la vita di chiunque… Ad uno sguardo distratto potrebbe sembrare una lista di virtù tanto positive quanto rare. Tuttavia, come brillantemente dimostrato nell’ultima fatica cinematografica di Giulia Louise Steigerwalt, si tratta di qualità potenzialmente deleterie, in particolare se perpetrate da un uomo di potere all’interno di un sistema profondamente intriso di ciò che oggi abbiamo imparato a definire ‘patriarcato’; termine che fino a pochi anni fa era banalmente l’unico approccio riconosciuto come ‘normale’, parola che appare già di per sé inquietante.
Diva Futura racconta la parabola professionale ed esistenziale di una curiosa comitiva attiva nel bel paese tra gli anni settanta e novanta dello scorso secolo, alla cui sommità vi era la controversia figura di Riccardo Schicchi, interpretato da Pietro Castellito.
Steigerwalt e colleghi si servono dell’ormai rinomata struttura narrativa resa celebre dal cinema d’oltreoceano per raccontare una tragica contraddizione degli ultimi decenni del novecento italiano, durante i quali un manipolo di ingenui sognatori sdoganò involontariamente alcune delle pratiche più malsane e oblique della televisione e dello spettacolo nostrano.
L’adattamento cinematografico del romanzo “Non dite alla mamma che faccio la segretaria” di Debora Attanasio – una delle protagoniste della vicenda reale e, dunque, del lungometraggio – opera su registri frizzanti e leggeri, nel tentativo di indorare una pillola ancora ostica da digerire, la cui nefasta complicità giocò un ruolo centrale nel proliferare di uno dei mercati più remunerativi dell’economia mondiale: la pornografia.
Il nucleo narrativo della vicenda non poteva che essere Riccardo Schicchi, la cui biografia diviene il fecondo espediente narrativo per sviscerare una vasta gamma di personaggi più o meno centrali, il cui contributo risulta a dir poco vitale per restituire al pubblico un mosaico completo e cangiante, capace di racchiudere efficacemente in 128 minuti quarant’anni di storia.
Proprio come per Schicchi, il film si serve di una robusta corazza, composta da un’impalcatura formale apparentemente spensierata e frivola, per celare elegantemente una serie di tesi piuttosto perentorie sull’operato del suo protagonista e delle sue colleghe: costruirsi una realtà parallela in cui tutto è semplice e accogliente non può che rivelarsi come una mera scorciatoia psicologica, i cui esiti non differiscono poi tanto da chi, al contrario, ha scelto di schivare goffamente le pesantezze dell’esistenza identificandole come ostacoli insormontabili.
La Steigerwalt, dunque, dona alla propria opera un’anima multiforme, capace di rivelare le affascinanti sfaccettature di una realtà tragicomica attraverso un registro espressivo tanto leggero quanto poliedrico.