Doctor Sleep recensione del film di Mike Flanagan con Ewan McGregor, Rebecca Ferguson, Kyliegh Curran, Jacob Tremblay, Emily Alyn Lind e Bruce Greenwood
È molto difficile definire Doctor Sleep con un solo aggettivo. Non si tratta né di un film “bello” né di un film “brutto”, e neanche di un film mediocre. Il sequel di Shining presenta un’originalissima mescolanza di interessanti intuizioni e di scene ridicole che fa uscire lo spettatore dal cinema con una strana irritazione e con l’inestricabile dubbio se ha visto un buon film rovinato da alcune scelte sbagliate o un brutto film che contiene anche dei buoni momenti.
C’è da dire che il problema iniziale con cui il regista Mike Flanagan (Hush – Il terrore del silenzio, Il gioco di Gerald, Hill House) si doveva relazionare era proprio l’omonimo romanzo di Stephen King da cui Doctor Sleep è tratto. Uscito nel 2013 come seguito del “suo” Shining e non di quello di Stanley Kubrick, il romanzo Doctor Sleep era semplicemente privo di quella portata simbolica che altre opere del suo autore sfoderavano in grande stile. Non c’era più il simbolismo dell’albergo/casa/utero maligno/tomba di Shining, né il fantasma erotico Pennywise protagonista di It o la strana entità demoniaca contro cui combattono i protagonisti del più recente The Outsider.
Invece il “male” rappresentato nel Doctor Sleep è uno degli antagonisti più banali e allo stesso tempo meno credibili di tutta l’opera kinghiana, e l’assenza di un’unità aristotelica di tempo, luogo e azione non aiuta né il libro di King né il Doctor Sleep di Flanagan a costruire un adeguato stato di tensione nel lettore o nello spettatore. La trama del film infatti è fondamentalmente la stessa del libro di King: a distanza di decenni dai fatti dell’Overlook Hotel, il quarantenne Danny Torrance (Ewan McGregor) cerca di affogare nell’alcol i fantasmi e tutte le altre visioni prodotte dalla “luccicanza”.
Dopo essersi iscritto a un gruppo di Alcolisti Anonimi, viene contattato telepaticamente da Abra (Kyliegh Curran), dodicenne dotata di una particolare carica magica, braccata da un misterioso gruppo di uomini malvagi chiamato il Vero Nodo, che si nutre della luccicanza dei bambini per vivere migliaia di anni.
La stessa scelta di avere Flanagan alla sceneggiatura e alla regia era buona ma non buonissima. Flanagan è senz’altro un bravo artigiano di film horror e thriller, questo non lo si mette in dubbio: Hush – Il terrore del silenzio, il film che lo ha consacrato, era un’interessante variazione sul tema dello slasher che anticipava alcune dinamiche di A Quiet Place, e si era ulteriormente imposto fra i migliori adattatori di King con il film Netflix Il gioco di Gerald. La Warner Bros. doveva però decidere se cercare di realizzare un buon prodotto di cassetta oppure un seguito di Shining libro e Shining film che oltre all’ambientazione dell’Overlook Hotel avesse anche la medesima portata tragica dei due predecessori. Flanagan è al margine di quel gruppo in piena ascesa di registi horror americani denotati da una forte autorialità (vedasi Ari Aster) e confeziona un prodotto con “un’anima” ma danneggiato da molte criticità interne.
Il vero problema non è neanche il Flanagan regista: la direzione degli attori è di buona qualità, lo stile registico è nella norma. Sono alcune scelte di sceneggiatura a riempire il film di momenti discutibili, che poi viene ulteriormente danneggiato dalla scelta di ricreare alcune brevi scene dell’originale Shining con attori diversi: non ha senso ricostruire centimetro per centimetro la scenografia dell’Overlook Hotel, se poi Danny bambino, la madre Wendy e il padre Jack hanno un aspetto ben diverso rispetto al primo film. Una simile discontinuità poteva essere accettabile vent’anni fa, non nella stessa stagione in cui escono nelle sale film come Gemini Man o The Irishman nei quali il lavoro di effetti speciali sui volti degli attori risulta perfettamente credibile.
È in particolare la scena al bancone dell’Overlook, assente nel libro di King e sulla carta un’ottima invenzione di Flanagan, a essere resa ridicola dalla scarsa somiglianza dell’attore dietro al bancone dei vini. Viene reso male anche il motivo per cui il film si intitola così, “Dottor Sonno” – Danny grazie alla luccicanza riesce a dare una “buona morte” ai malati terminali che assiste come inserviente ospedaliero – che era uno dei migliori passaggi del libro e che invece nel film viene ridotto a macchietta, forse per non turbare gli animi accennando a qualcosa di simile all’eutanasia.
Il finale, non del tutto kinghiano, e’ pura follia. Dall’altro lato, non può non emozionare il ritorno all’Overlook, ci sono alcuni buoni momenti di tensione come la scena delle mani già visibile nel trailer e il rapporto fra Dan e il fantasma del cuoco Dick Halloran (Carl Lumbly) e’ reso bene, con un attore che imita bene sia a livello di recitazione che a livello di volto l’indimenticabile Scatman Crothers del film di Kubrick. Ma Doctor Sleep di Mike Flanagan resta, complessivamente, un’occasione sprecata.
Ludovico