Domina recensione serie TV Sky con Kasia Smutniak, Matthew McNulty, Claire Forlani, Christine Bottomley, Colette Dalal Tchantcho, Ben Batt, Liam Cunningham, Isabella Rossellini, Nadia Parkes e Tom Glynn-Carney
Nel panorama seriale recente, quello del filone storico-romano sta diventando uno dei percorsi più battuti dalle grandi produzioni televisive, destreggiando, tramite la magnifica ricostruzione del passato avanti Cristo, la riconduzione del focus sociale e politico della Storia della Civiltà laziale sull’attuale mondo contemporaneo.
Spartacus ad esempio – dal 2010 e per tre stagioni – ricostruiva le gesta del gladiatore romano Spartaco, mostrando con brutalità grafica e barocchi slanci registici in ralenti la violenza dentro l’arena e la sfrenata spinta erotica delle numerose scene di sesso; rischiando spesso la censura per la nudità esibita mista ai soprusi spietati ai quali erano sottoposti schiavi e guerrieri all’epoca delle Guerre Civili. Nel 2020, e senza l’edonismo erotico della serie americana con il compianto Andy Whitfield, Romulus cavalcava il successo del film del suo regista Matteo Rovere Il primo Re, e in dieci episodi interamente in lingua protolatina, evocava la ricostruzione del mito fondativo di Roma in una sorta di coming-of-age tra lotta alla sopravvivenza e superstizione.
Domina è solo l’ultima, in ordine cronologico, di una gamma ridotta ma spesso fortunata di drammi seriali epici ma strettamente contemporanei, scegliendo di riposizionare lo sguardo prettamente maschile e machista del mondo imperiale romano finora assunto, in un quello di una donna “cresciuta come un maschio”, che ridefinì per sempre il concetto di aspirazione politica, nella sua lotta e ambizione al potere e al controllo tentacolare tanto quanto gli uomini.
Coprodotta da Sky Studios, Fifty Fathoms, Tiger Aspect Productions, e da Cattleya nel ruolo di produttore esecutivo, Domina narra dell’incredibile storia di Livia Drusilla (Nadia Parkes, poi Kasia Smutniak), figlia di Marco Livio Druso (Liam Cunningham) e discendente diretta dell’illustre famiglia dei Claudia. La nobildonna, sposata a soli quindici anni con Tiberio Claudio Nerone, dopo aver perso tutto durante la battaglia di Filippi e in fuga da Roma col figlio Tiberio e la ex-schiava Antigone (Colette Dalal Tchantcho), torna a casa dalla Sicilia senza denaro o potere e, come unica via possibile, sceglie di sposare Gaio (Matthew McNulty), pronipote di Giulio Cesare, all’epoca marito di Scribonia (Christine Bottomley). Ripristinando così il suo status e diventando la consigliera politica del marito, Livia verrà costretta a sacrificare la sua intera vita per custodire un segreto indicibile e mortale.
Girata negli studios di Cinecittà e interrotte le riprese dal Covid, la serie disponibile interamente su Sky dal 14 maggio per otto episodi, riscopre il periodo di Augusto Imperatore a partire da una data fondamentale per la precaria tenuta della repubblica romana: nel 44 a.C. Giulio Cesare viene pugnalato a morte davanti al senato e un anno dopo Roma è sull’orlo della guerra civile. Il fermento politico e Storico di quell’epoca, in Domina diventa dunque la fonte generatrice da cui attingere una biografia al femminile, mostrando l’inedita condizione delle donne patrizie, obbligate al matrimonio in tenera età e poi pedine involontarie di giochi di potere che le vedeva mogli rimbalzate a piacimento di mariti, perennemente gravide e totalmente prive di diritti a seguito di divorzi e annullamenti coniugali.
In questo, la serie Sky ideata e scritta da Simon Burke, con un’inedita e (super)matrona sovversiva Kasia Smutniak, riesce ad attirare l’inconsueta curiosità verso un mondo femminile ancora poco indagato nella storia romana sullo schermo, ricostruendo, già dai primi episodi, il legame paterno della protagonista in età infantile, quello in sorellanza con l’ancella Antigone e il rapporto sacrificale e complesso con i figli Druso e Tullio.
Tutto sommato quello di Domina, non è nient’altro che l’intricato ma canonico racconto politico e famigliare dei giochi di potere di grandi e medie personalità di spicco, tra complotti, eredità, tradimenti e gelosie; e la penna di Burke sceglie di farlo con modalità narrative o messa in scena già conosciute e consuete, ramificando un albero genealogico in divenire di sangue e bramosia, come fosse una sorta di melo famigliare in soap-kolossal, nel rispetto dei fatti e delle fonti.
Il connubio sesso e potere infatti è spesso abusato e il guizzo autoriale in Domina reclina sulla prevedibilità formale e narrativa di colpi di scena e twist posizionati qua e là nel racconto, atti a ribaltare la presumibile concatenazione fattuale, ma che richiede una certa attenzione agli intrecci e alle faide famigliari. Dalla regia magniloquente di Claire McCarthy e di David Evans la Roma di Domina appare solida ed epica, attenta alla ricostruzione di particolari di linee guida estetiche e cromatiche che vanno dall’allestimento del decor in scenografia e dei costumi.
Sarebbe forse opportuno un ripasso nei libri di scuola per entrare e comprendere a fondo il formato Dynasty del Foro Romano della serie Sky italo-britannica, ma senza dubbio il materiale ordito per tessere una tela invitante e che solletica l’ampolloso e togato imperialismo tra la Domus e la Suburra è evidente, e la Roma di Kasia Smutniak è pronta ad aprire le sue porte.